sabato 4 luglio 2015
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Fatto uscire dalla porta principale, l’utero in affitto rientra a pieno titolo dalla finestra. È quanto sta accadendo in diversi Paesi dove, pur essendo proibita la maternità surrogata, è autorizzata la trascrizione degli atti di nascita dei bambini nati con questa procedura, nascita registrata negli Stati dove è legale che una donna, dietro compenso più o meno esplicito, sia disposta a cedere ad altri il bambino appena partorito. Un bambino che non sempre è suo figlio genetico, che non è figlio del suo compagno, ma che ha portato in grembo per nove mesi.L’ultimo caso è della Francia, dove la Cassazione ha consentito l’iscrizione all’anagrafe nazionale di due bambini il cui concepimento è stato commissionato in Russia da una coppia di omosessuali: allo stato civile francese risulteranno figli dell’uomo che ha effettuato il riconoscimento di paternità – presumibilmente il padre biologico, uno dei componenti della coppia – e della donna che lo ha partorito, cioè la madre surrogata.Non è difficile immaginare che in questi casi il passo successivo, per le coppie omosessuali sposate o conviventi in forme riconosciute come simil-matrimoniali, sia la possibilità di adottare il figlio biologico del partner – quello che peraltro in Italia propone attualmente il disegno di legge Cirinnà – consolidando ancora di più l’orientamento culturale e giuridico secondo cui un bambino è figlio di chi ha manifestato l’intenzione di averlo e non di chi lo ha generato effettivamente. E in nome di questo ha sottoscritto contratti e pagato prestazioni: con la donna che rinuncia al figlio appena partorito, con quella che ha fornito i propri ovociti, con le cliniche e i centri coinvolti, con l’agenzia che ha organizzato l’intera partita. In questo senso, adozione e maternità in conto terzi seguono due logiche opposte: la prima si fonda sul diritto di un bambino ad avere due genitori, quando non ne ha più, mentre la seconda parte dal presupposto che esista il diritto di due persone (o anche di una sola) ad avere un bambino, quando lo desiderano.Ma non solo. Il riconoscimento degli atti di nascita di bambini nati da pratiche di utero in affitto viene giustificato in nome del bene dei bambini stessi, per non lasciarli apolidi – "fantasmi" li ha definiti la signora ministro della Salute francese –, sospesi in un limbo giuridico che potrebbe impedire loro di usufruire dei diritti più elementari. Nelle pratiche di utero in affitto, infatti, le coppie che commissionano la procedura, le donne che si prestano come surrogate, chi vende i propri gameti, le cliniche e le agenzie implicate sono spesso di Paesi o addirittura di continenti diversi, e per i bambini che nascono si pongono facilmente problemi giuridici. Stabilire i genitori legali e la cittadinanza dei neonati è il risultato della combinazione delle norme di tutti gli Stati coinvolti, e non sempre esiste una soluzione. Per questo la tendenza che si sta consolidando in ambito internazionale è quella di prendere atto di queste situazioni e dare al nato le garanzie del Paese in cui alla fine si trova a vivere, riconoscendo come genitori quelli che lo crescono.Potrebbe sembrare una soluzione di buon senso. Ma se indubbiamente i bambini vanno tutelati, le coppie che ne hanno commissionato concepimento e nascita andrebbero sanzionate con severità, quando tornano nelle nazioni di origine, dove queste pratiche sono vietate, altrimenti la trascrizione degli atti di nascita di questi bambini si trasforma, inevitabilmente, nella legittimazione della maternità surrogata stessa, una legittimazione addirittura a livello internazionale, non più perseguibile per legge neppure laddove la legge la vieta. La dovuta tutela giuridica per i più fragili – i nati e le madri surrogate – non si può trasformare in un "tana liberi tutti", cancellando qualsiasi sanzione e quindi liberalizzando, di fatto, il nuovo mercato globale di esseri umani, sul quale donne cedono dietro compenso parti del proprio corpo – i gameti – o l’intero corpo, per nove mesi, rinunciando poi al figlio appena partorito, e sul quale i bambini si commissionano per contratto.
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