giovedì 28 luglio 2011
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Gentile direttore, ho sentito che il Sommo Pontefice ha consegnato al vescovo di Gibuti la somma di 50.000 euro per l’emergenza siccità nel Corno d’Africa. È senz’altro un ottimo gesto e soprattutto tempestivo, anche se isolato, che mette comunque in evidenza la priorità che il Papa dà agli aiuti umanitari. Nel medesimo tempo penso però che 50.000 euro sono solo un "granellino" di sabbia in un deserto. Notizie di questi giorni dicono che il Vaticano starebbe subentrando nella gestione del San Raffaele nel tentativo di salvarlo: è una primaria e grande istituzione di cura (anche se a quanto sembra molte cose all’interno non sarebbero state gestite come si deve) che va senz’altro a tutti i costi preservata. Stride però la differenza fra la somma destinata a chi muore letteralmente di fame (i 50.000 euro appunto) e quanto ho letto potrebbe essere destinato per il San Raffaele (250 milioni di euro). Se il Vaticano dispone di tanta ricchezza (ed evidentemente è così) non poteva destinare ai moribondi almeno uno/due/tre milioni? Mi si dirà che è demagogia la mia (parola molto di moda) ma sarebbe ora di gesti più coraggiosi e importanti per salvare vite umane e magari un po’ più contenuti (di molto poco) per andare in soccorso di "interessi" spesso contrastanti con il Vangelo.

Claudio Giordani

Forse le è sfuggito, gentile signor Giordani, che per realizzare a nome di Benedetto XVI il gesto che lei cita (la donazione di 50mila euro) ha agito "Cor Unum" – cioè l’agile struttura che Paolo VI volle come strumento d’urgente e diretto intervento umanitario del Papa – mentre la Chiesa universale è scesa in campo con Caritas internationalis. Non uno ma due "granellini", come lei dice, epperò positivamente esemplari in un mondo cinicamente distratto e lento nel farsi carico dei deboli e dei poveri. Da quel che scrive, mi pare che le sia, poi, sfuggito che la Conferenza episcopale italiana – come altre Chiese nazionali – ha accolto l’appello del Papa stanziando immediatamente fondi (un milione di euro) che si sono sommati a quelli destinati alla nuova emergenza somala dalla Caritas italiana (300mila euro), mobilitata con la prontezza e la generosità di sempre in tutte le proprie strutture di supporto e nei consueti canali di donazione. Ho ancora la sensazione che le sia sfuggito un altro particolare di non poco conto: questi interventi si sono aggiunti a quelli già in corso da anni nella stesso martoriato Paese africano nonché a tutti gli altri che, contemporaneamente, continuano a svilupparsi in zone che i mass media e le opinioni pubbliche hanno dimenticato o ricordano solo a a intermittenza: da Haiti al Kirghizistan, dal Pakistan al Darfur, dallo Sri Lanka al Guatemala, dalla Georgia alla Sierra Leone... Ma a questo punto mi viene anche il dubbio che lei non abbia neppure notato che questo giornale sta portando tutti i giorni il "caso Somalia" in prima pagina, rompendo la cortina di silenzio di troppi altri mass media (la "notizia fame" non buca giornali e schermi pur affamati di notizie...).Quanto alla "operazione San Raffaele", non capisco davvero che cosa c’entri con la Somalia. Ma mi sembra giusto dirle quel che so e che penso. Siamo al cospetto di un’iniziativa tesa a esplorare la possibilità di evitare il fallimento di una delle strutture sanitarie e di ricerca medica più efficienti e avanzate del nostro Paese, una struttura d’eccellenza aperta a tutti (cioè integrata nella sanità pubblica) che purtroppo non è stata amministrata con altrettanta eccellente dedizione. Anche al San Raffaele – lo annoto per inciso – si curano e si salvano vite umane: italiane e non solo. Ovviamente non so quali esiti avrà una ricognizione decisamente difficile, che ha tempi stretti per svilupparsi e che vede in campo personalità eminenti designate dalla Santa Sede e un "gran risanatore" come Enrico Bondi. Né so quanti soldi saranno eventualmente necessari, né da chi verranno. Di una cosa sono però certo: non saranno "soldi del Papa", cioè non saranno i fondi della sua assidua carità. E non saranno neanche fondi della Cei, cioè della Chiesa italiana. Poiché, inoltre, gli euro non crescono sugli alberi, immagino che se il piano di salvataggio decollerà, ci sarà un’opera di finanziamento. E immagino anche che sarà trasparente – su questo gli impegni dei nuovi amministratori del "San Raffaele" sono decisamente chiari – come trasparente si vuole giustamente che sia ogni altro nuovo capitolo di una storia scintillante eppure gravata da troppe ombre.Le dico, ancora, che per quanto meritorio possa essere l’intendimento che sta alla base del soccorso al "San Raffaele", il soccorso a chi muore di fame e soffre a causa delle strutturali ingiustizie del nostro mondo è tutta un’altra cosa. Richiede, e giustamente assorbe, anno dopo anno risorse ingentissime e inestimabili energie umane e spirituali. E questo avviene in Somalia come in tante altre parti del mondo. Su ognuno di tali fronti la Chiesa cattolica – con i suoi preti, le sue suore e i suoi volontari – è sempre in prima linea. Io le ho fatto un brevissimo riassunto dei dossier aperti, lei verifichi pure. Vedrà che sono tanti di più, e che in ogni dove e ogni volta – ogni volta – arriva anche un segno tangibile dell’affetto e della vicinanza del Papa. Un gesto che è possibile grazie alla fiducia generosa di tanti di noi per il Vicario di Cristo. Un "granellino", dice lei. Una serie di benedetti granellini, dico io. Che, a differenza di quelli del proverbio, non inceppano di certo il meccanismo della solidarietà, ma lo smuovono. Si sa che «il bene ama il nascondimento» (e che troppi mass media danno una mano affinché sia così...), ma i fatti sono fatti. E parlano chiaro.

Marco Tarquinio

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