mercoledì 25 marzo 2009
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I dati raccolti nei Centri di aiuto alla vita con­fermano quella che la settimana scorsa si e­ra affacciata come una drammatica ipotesi: le richieste di aborto negli ultimi mesi stanno au­mentando a causa della crisi economica. Pre­carietà del lavoro, incertezza rispetto al futuro e impoverimento progressivo stanno inducen­do infatti un numero maggiore di donne – ita­liane e straniere – a chiedere un aiuto econo­mico o addirittura a rinunciare alla gravidanza. La decisione di ricorrere all’aborto perché non si è in grado di mantenere un figlio rappresen­ta una doppia sconfitta anzitutto per la collet­tività. La soppressione di una vita nascente per motivi economici testimonia infatti il palese fal­limento di quanto previsto dalla stessa legge 194, laddove impone di cercare assieme alla donna «... le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidan­za, di metterla in grado di far valere i suoi dirit­ti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la don­na, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto» (art. 5). Quali tentativi vengono realmente svolti in questa di­rezione? E da parte di chi? In quale sede si di­spone di strumenti d’in­tervento utilizzabi­li – concretamente – per­ché quella citata non re­sti solo una formula di legge, lettera morta nel­la prassi reale? Una collettività che non riesce a tutelare il bene primario della vita è un’entità che ha smarri­to la sua prima ragion d’essere; un welfare in­capace di rispondere al bisogno della sopravvi­venza per sé e per i pro­pri figli è un sistema che si va svuotando, che e­videntemente disperde troppe risorse in dire­zioni meno necessarie. La sconfitta più pesante sta proprio in questa mancanza di sussidi e provvidenze mirate alla maternità e alla primissima infanzia. Mentre in Germania è previsto un assegno di quasi 2mila euro per ogni figlio sino ai 18 anni e misure si­mili sono in vigore in Francia, Danimarca, Sve­zia, Belgio, Gran Bretagna, da noi la maternità resta un 'affare privato', il crescere dei figli un compito che lo Stato degna di poche attenzio­ni: assai limitate detrazioni fiscali e assegni fa­miliari destinati ai soli lavoratori dipendenti meno abbienti. Proprio l’esperienza dei Centri di aiuto alla vi­ta dimostra, invece, come il dramma della ri­nuncia a un figlio si possa evitare con due stra­tegie tra loro complementari. Anzitutto, non la­sciando sole le donne di fronte ai loro proble­mi, offrendo invece comprensione e compa­gnia. E, non meno importante, fornendo aiuti tangibili, concreti, immediati come l’assegno mensile da 160 euro che i Cav riescono ad assi­curare per 18 mesi alle donne che non aborti­scono, grazie a una rete di volontari, di parroc­chie, scuole e interi uffici coinvolti nella raccol­ta di fondi e di materiali per la prima infanzia. Un impegno tanto encomiabile quanto nasco­sto, che ha permesso di salvare 14mila bambi­ni in 15 anni, ma che non deve divenire l’alibi per la disattenzione e il disimpegno dello Sta­to. L’impoverimento e la precarizzazione dei rap­porti di lavoro si combattono con gli strumen­ti di politica economica, occorre però anche de­cidersi a incrementare gli aiuti alla famiglia e i sussidi alla maternità. Un primo, piccolo passo potrebbe essere compiuto subito con un costo molto limitato, anticipando di 6-8 mesi la con­cessione della Social card, oggi prevista per i nu­clei meno abbienti con bambini da 0 a 3 anni. Attivandola dietro presentazione del certifica­to di gravidanza oltre che della situazione red­dituale – e incrementando la dotazione attuale di 40 euro al mese – si comincerebbe a dare un segno tangibile di attenzione almeno verso le fu­ture madri più povere. A suggerire quantome­no l’idea che di fronte allo strazio di non poter mantenere un figlio, lo Stato non si limita ad al­largare le braccia e a mettere a disposizione u­na sala operatoria. È una piccola cosa rispetto ad un dramma immenso, che anziché prosciu­garsi come gli auspici illuministici lasciavano intendere, torna ad allargarsi. Ma, signori della politica, vogliamo concretizzare almeno que­sto piccolo segno?
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