La crepa nella putinocrazia non si chiama Navalny
martedì 19 gennaio 2021

Dopo il volo Mosca Berlino pieno di giornalisti e telecamere. Dopo i mille video trasmessi su tutti i siti russi e non russi (Navalny fa il check-in, entra in aereo, si siede nella fila numero 13, si fa il selfie con la moglie, prende da bere), fino all’arrivo e al clamoroso arresto al controllo passaporti di Mosca. Dopo i suoi seguaci che dall’aeroporto di Vnukovo si spostano a quello di Sheremetevo e lì si mescolano con i fan di Olga Buzova, una famosa cantante pop che sbarcava proprio in quel momento. Dopo il Navalny numero due, il fratello Oleg, che manda video dalla cella dove l’hanno messo dopo l’arresto. Dopo Navalny uno, Aleksej, che trasmette in diretta su Internet il suo incontro con il magistrato.

Dopo tutto questo, c’è ancora qualcuno che può credere che Navalny sia l’uomo che può scardinare la Russia di Putin? Quello a cui abbiamo assistito, in realtà, è stato uno scambio. Navalny doveva tornare in Russia. Restando in Germania, da dove non poteva certo organizzare le sue provocazioni politico-mediatiche, sarebbe sparito, scivolato nell’ininfluenza. E non se lo poteva permettere, soprattutto in questo 2021 in cui si terranno le elezioni parlamentari. L’accusa di truffa aggravata, che ha portato all’arresto, era perfetta: pretestuosa il giusto, leggera il dovuto.

La miscela ideale per creare il 'caso' e accendere i riflettori del mondo. Ma anche per Putin è stato un affare. Ha ribadito che al Cremlino fanno poco effetto i richiami del mondo ( Joe Biden, la Ue e persino l’Italia hanno chiesto la liberazione del blogger), il che unge gli ingranaggi dell’orgoglio nazionale. E ha fatto vedere che Navalny viene trattato coi guanti, può dire e fare ciò che vuole. Peccato che sia un truffatore e la legge parli chiaro, come ha poi ribadito il roccioso ministro degli Esteri Lavrov. Un po’ di teatro, insomma. Conveniva a Navalny e a quelli che lo scambiano per un progressista (ma lui pensa che la Crimea sia Russia, non Ucraina, e che silenziare Trump sui social sia censura).

Ma anche e soprattutto a Putin e ai suoi. Ai primi di novembre l’affidabile Levada Center di Mosca ha pubblicato un sondaggio in cui risultava che il 20% degli interrogati approva il blogger, il 50% lo disapprova e il 18% non sa neanche chi sia. Per il Cremlino Navalny è soprattutto fumo da buttare negli occhi. I problemi veri non mancano ma sono altri, e assai più impegnativi. Il punto sta nella progressiva sclerosi che affligge il sistema putiniano.

Dieci anni di slancio e poi, pian piano, un’inesorabile frenata, a malapena mascherata dal nazionalismo e dagli interventi militari. Putin l’ha capito ma il Cremlino ha l’incubo di una seconda perestrojka, cioè teme di avviare processi politico-sociali di cui poi, come successe a Gorbaciov, si possa perdere il controllo. Per questo Putin ha varato una doppia manovra.

Da un lato ha blindato il sistema intorno a sé con la riforma costituzionale che, in pratica, gli ha spalancato le porte della presidenza a vita. Dall’altro ha liquidato il Governo dei ministri dell’austerità e dell’autarchia e ne ha varato uno di tecnocrati orientati a una politica espansiva e a un dialogo più fruttuoso con l’Occidente. Poi è arrivato il Covid che ha bloccato tutto. La stessa trama del 'caso Navalny' fa capire che nella pancia della nomenklatura putiniana c’è qualcosa che si agita.

Di colpo, gli stessi servizi segreti che in certa narrazione occidentale con quattro hacker mettono a soqquadro l’Occidente (eleggono Trump, provocano la Brexit, scuotono la Catalogna, fanno vincere i populisti...) diventano un covo di pasticcioni. Killer che organizzano attentati su whatsapp (che è di proprietà Usa, con i dati conservati negli Usa), spargono il Noviciok nelle mutande della vittima, si fanno individuare e beccare al telefono e in casa.

E la cosa si ripete, perché è saltato fuori che lo stesso disastroso comportamento era tenuto dal corpo speciale che organizza e protegge i trasferimenti dei primi quaranta Vip della politica russa, da Putin in giù. Insomma, forse c’è qualcuno (Militari? Industriali? Nuove generazioni che premono alle porte del potere?) che rema contro l’attuale assetto. Che manda al Cremlino messaggi di insoddisfazione, specie di mugugni in codice che chi deve capire capisce. Aspettando magari il 2024, quando l’ennesimo mandato presidenziale di Putin scadrà e qualcosa (ma cosa?) dovrà pur succedere.

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