venerdì 2 luglio 2010
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Caro direttore,le reazioni seguite al rifiuto, da parte della Corte Suprema, di accettare il "certiorari" vaticano mi fanno pensare che siano pochi gli italiani a conoscenza dei tortuosi meandri dell’appello americano. Senza entrare nei dettagli, mi sembra importante far sapere che in quel Paese l’appello non è un diritto costituzionale e che il primo grado conclude il procedimento sia civile che penale. La quasi totalità dei condannati americani ha patteggiato la pena e perso il diritto all’appello, ma solo una parte piccolissima dei condannati da una giuria riesce a farsi ascoltare da una Corte d’Appello (dove ci sono) o da una delle Corti Supreme Statali e, nel raro caso vi riescano, questo non significa il rifacimento del processo, bensì la revisione formale del verbale del dibattimento. Per i condannati a morte, gli appelli possono diventare una messa cantata pluridecennale, ma per gli altri la cosa si conclude piuttosto in fretta, tanto che su 45 milioni di procedimenti giudiziari (civili e penali) in appello ve ne sono meno di 300 mila. Anche la United States Supreme Court (Scotus), al vertice del sistema federale e sopra le corti supreme statali, non ha l’obbligo di ascoltare ogni richiesta che giunge al suo cospetto ed è solita farlo senza perdersi in chiacchiere. Il primo lunedì di ottobre è noto come "bloody monday" (lunedì di sangue) perché la Scotus inizia il suo "OT" annuale rigettando centinaia di "certiorari", fra i quali vi sono moltissime richieste provenienti dal braccio della morte, arrivando a volte a seppellirne uno già accolto (DIGged: certiorari Dismissed as Improvidently Granted). In definitiva, su 7-8 mila richieste d’appello la Scotus non emette più di 60-70 sentenze: il cosiddetto otto per mille della Corte Suprema.

Claudio Giusti, Forlì membro del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla legalità e i diritti

Con l’espressione «petition of "certioraria"» (richiesta di essere informato) viene indicato quel particolare procedimento del sistema giurisprudenziale anglosassone in base al quale una Corte superiore intima a una Corte inferiore di consegnare gli atti di un giudizio pendente dinanzi a essa per riesaminarli e verificarne la validità. Questo è quanto aveva proposto il ricorso vaticano rispetto a un caso giudiziario aperto nello Stato americano dell’Oregon: «Anonimo contro Santa Sede». La sua lettera, gentile dottor Giusti, aiuta a capire in quale contesto e con quali modalità sia maturata la non-decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti (Scotus) che qui in Italia è diventata una «decisione» e ha prodotto titoli elettrizzati e qualche fuorviante (e forse precipitoso) entusiasmo di stampo giustizialista. Meglio sapere bene di che cosa stiamo parlando, e la sua efficace sintesi rappresenta una più che utile opportunità per mettere i puntini sulle "i". D’altra parte, in occasione di quest’ultima pronuncia, la Scotus aveva ben altre urgenze e priorità rispetto a quella di occuparsi della pretesa di chi vorrebbe considerare un sacerdote un «dipendente diretto del Papa» e la Santa Sede alla stregua di un «azienda»... c’era da bocciare solennemente le autorità di Chicago per aver osato limitare il diritto di andare in giro armati per tutti gli Stati Uniti d’America. Mi sembra che ci sia motivo per amarissime riflessioni, mi sembra che dalla giustizia di un grande e libero Paese sia lecito attendersi molto di più e molto di meglio.
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