sabato 27 giugno 2015
​La rivoluzione del sindaco Hidalgo: stop dal 1 luglio. Anche Roma e Milano ci pensano. Se il provvedimento fosse applicato in Italia il 31% dei mezzi non potrebbe circolare.
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Vietare le automobili in città. Il progetto è chiaro e mirato, le modalità progressive ma incalzanti. Come le date di una rivoluzione che, da annunciata, ora diventa reale. Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, prosegue con la sua politica anti-traffico nella capitale francese: da mercoledì 1 luglio infatti entreranno in vigore i divieti di circolazione per le auto e i veicoli da trasporto immatricolati prima dell’ottobre 2001. Questi mezzi, ritenuti altamente inquinanti, non potranno circolare a Parigi tra le ore 8 e le 20. Tra un anno esatto, nel luglio 2016 scatterà un ulteriore divieto, che riguarderà auto e camion alimentati a gasolio immatricolati prima del 1997, e le moto antecedenti il 31 maggio 2000. Per giustificare il drastico piano antismog, la Hidalgo ha dichiarato che intende «liberare la capitale francese dai veicoli non ecologici». Nel mirino in particolare, le vetture alimentate con carburante diesel. «Siamo determinati ad agire rapidamente – ha spiegato il sindaco – perché la lotta alle polveri sottili è una questione fondamentale di pubblica sanità». Dopo il 2017 il divieto sarà totale per alcuni veicoli e verrà esteso ai modelli più recenti e alle automobili diesel immatricolate prima del 2011. Ma l’obiettivo finale è più drastico ancora: togliere cioè tutti i veicoli alimentati a gasolio dalle strade cittadine a partire dal 2020. Parigi è solo la prima a schierarsi, altre metropoli seguiranno presto. Si tratta di una rivoluzione epocale. Per comprenderne la portata, basti pensare che se lo stesso provvedimento in vigore a Parigi dal 1° luglio fosse applicato oggi in Italia, in città come Roma o Milano, il 31,4% delle vetture attualmente circolanti (quasi una su tre) non potrebbero più accedere da un giorno all’altro nell’area metropolitana. Capitasse a Napoli, la percentuale toccherebbe addirittura il 46,1%. Uno studio dell’Osservatorio Autopromotec su dati Aci infatti rileva che il nostro parco circolante è formato da 11,6 milioni di vetture Euro 0, 1 o 2 (immatricolate prima del 2001). Circa un terzo delle auto italiane ha più di 13 anni ed è composto da vetture che hanno bassi livelli di sicurezza e alti livello di inquinamento, molto lontani dai modelli di più recente produzione. Il piano della capitale francese ha l’indubbia caratteristica di essere organico, e di offrire alternative se non risolutive, almeno interessanti per chi di colpo dovrà cambiare le proprie abitudini di mobilità. A partire da un forte investimento nel migliorare e ampliare l’offerta dei mezzi pubblici cittadini, veri incentivi all’acquisto di auto ecologiche e condizioni più convenienti per l’accesso al credito. L’altra faccia della medaglia però è rappresentato dalla congruità di un simile provvedimento.  Perché se una lotta così serrata ai veicoli più vecchi e inquinanti pare assolutamente doverosa e inevitabile, risulta decisamente iniqua e penalizzante nei confronti delle vetture diesel in generale, ritenute erroneamente la fonte di tutti i mali. L’idea dei motori a gasolio brutti, sporchi e cattivi appartiene ormai alla preistoria. Lo stesso sindaco di Londra, Boris Johnson, convinto ad imitare presto la collega parigina, ha rinviato la decisione dopo aver commissionato attraverso l’ente pubblico Transport for London all’SMMT (Society of Motor Manufacturers & Traders) un’indagine per arrivare ad una corretta valutazione dell’impatto dei veicoli diesel sulla qualità dell’aria. Il risultato degli studi ha dimostrato quello che le case automobilistiche sostengono da anni, dopo aver investito miliardi di euro per ottenerlo. Che i filtri di ultima generazione montati sui motori diesel cioè possano catturare il 99% delle particelle nocive di particolato, mentre le tecnologie di post-trattamento sono in grado di ridurre drasticamente le emissioni di ossidi di azoto. Il diesel moderno insomma non inquina, o certamente non è tra le fonti più colpevoli del peggioramento dello stato dell’aria. Paradossalmente il governo di cui la Hidalgo fa parte, sino a ieri ha costantemente incoraggiato l’uso di questo carburante applicando condizioni fiscali vantaggiose, tanto da essere, da oltre tre decenni, il favorito dei francesi. Nel 1990 rappresentava il 16,3% delle vetture circolanti, oggi supera il 67%. Inoltre, altro particolare scomodissimo per il sindaco socialista, lo Stato francese è azionista sia di Renault sia di Psa (Peugeot-Citroen) ed entrambi i gruppi sono fortissimi nei propulsori a gasolio.  Perché dovrebbe essere proprio lo Stato a penalizzare due sue aziende così importanti non solo dal punto di vista economico, ma anche occupazionale? Il Gruppo Psa ha già da tempo in listino un sistema ibrido con motore HDi da spingere in alternativa al diesel puro, ma ovviamente la reazione dei marchi francesi è stata forte. In Renault fanno osservare che grazie al filtro antiparticolato in 20 anni le emissioni di particelle dei veicoli a gasolio si sono ridotte del 97%. Fa eco PSA, sottolineando che gli attuali motori diesel consumano il 25% in meno rispetto ad analoghi motori a benzina e che le emissioni di CO2 sono inferiori del 15%, ricordando che è loro l’invenzione del FAP che ha praticamente eliminato le emissioni di particolato allo scarico. Più in generale, e guardando alla scadenza del 2020, resta difficile immaginare l’emanazione un provvedimento di generale restrizione alla circolazione per 6 veicoli su 10 considerando che tutte le auto sono state omologate rispettando le regole europee, e che non avrebbe senso limitare l’accesso alla città di Parigi anche alle Euro5 ed Euro6, che rispondono alle norme sulle emissioni più severe al mondo. Ma la guerra alle auto diesel in città non è una faccenda solo francese. Per ora in Italia – dove il 56% delle vetture sono alimentate a gasolio – è limitata alla mobilità nei centri storici. Ma che l’idea della progressiva chiusura nelle città al traffico delle vetture sia un progetto comune a molti assessori, è un dato certo. A Roma all’interno della 'Fascia verde' - quella circondata dal Grande raccordo anulare - le Euro 0 non potranno più circolare da novembre. Poi da novembre 2016 il divieto scatterà per le Euro 1 a benzina ed Euro 2 diesel; infine da novembre 2017 sarà la volta di Euro 2 a benzina e di Euro 3 diesel. Anche Milano si sta organizzando in questa direzione. L’idea è quella di creare una zona “a bassa emissione” da cui siano banditi prima i veicoli merci con motore diesel inferiore all’Euro 5, ed entro il 2020 a tutti i veicoli a gasolio e ai motocicli a due tempi. Nel nostro caso purtroppo, mancano quasi sempre offerte di alternative valide e resta l’impressione di una finta politica ecologica, inseguita con mezzi sbagliati. Sono decine i casi di soldi pubblici sprecati per l’acquisto di flotte di minibus elettrici (come a Grottarossa, dalle parti di Roma) o di camioncini a batteria per la raccolta dei rifiuti, di 100 auto ad alcol metilico (La Spezia) o addirittura di 5 autobus a idrogeno (costati 5 milioni e da due anni fermi a Imperia per mancanza di idrogeno). Ingiusto pretendere che la soluzione ecologica dipenda solo dall’automobile, bersaglio facile perché emette fumo sotto il naso di tutti. Ma se al momento le auto ecologiche circolanti nel nostro Paese rappresentano solo il 6,6% del totale, è perché non esiste nemmeno lontanamente una politica che ne incentivi l’acquisto. Mentre dilaga invece la moda di considerare l’automobilista un untore, anche quello (ed è la stragrande maggioranza dei casi) che della macchina non può fare a meno per vivere, e soprattutto lavorare. Circostanza che non cancella il dovere individuale di ciascuno a contribuire sempre e comunque per una mobilità il più possibile “pulita” e virtuosa.
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