L'informazione che costruisce
martedì 13 maggio 2025

Nella Babele del tempo presente si è fatto labile e sottile il confine tra propaganda e informazione, abbiamo avuto modo di scriverlo recentemente a proposito della falsificazione e distorsione delle notizie operata dai nemici delle democrazie liberali, che avvelenano la politica e la estremizzano sempre di più. È stata perciò una boccata d’aria pura ascoltare dalla voce di papa Leone XIV l’invito che era stato anche di papa Francesco a «disarmare» le parole che usiamo per fare informazione, perché «oggi, una delle sfide più importanti è quella di promuovere una comunicazione capace di farci uscire dalla “torre di Babele” in cui talvolta ci troviamo, dalla confusione di linguaggi senza amore, spesso ideologici o faziosi». Il no alla guerra, dunque, comincia dal respingerne – così ha detto – «il paradigma», nel senso che «la pace comincia da ognuno di noi: dal modo in cui guardiamo gli altri, ascoltiamo gli altri, parliamo degli altri». E allora no a tutte le guerre, anche a quella delle parole e delle immagini, che sono i nostri strumenti di lavoro.
Ancora una volta, la Chiesa mostra di comprendere il ruolo autentico e la missione del giornalismo. Ancora una volta si fa vicina a noi che facciamo questo mestiere. Come i suoi predecessori, anche papa Prevost ha voluto incontrare subito gli operatori dell’informazione per ringraziarli del lavoro svolto nei giorni intensi trascorsi dalla morte di Francesco alla sua elezione al soglio di Pietro. Ma siamo noi tutti, tutti i giornalisti, credenti e no, a dover ringraziare il Pontefice per un messaggio che al tempo stesso illumina la via da percorrere e funge da incoraggiamento ad andare avanti.
Ci ha ricordato il dovere di «non cedere mai alla mediocrità», che vale per ciascuno, qualunque sia il suo compito nella società. Ha sottolineato, con semplicità davvero disarmata e disarmante (come la pace e il tipo di comunicazione da lui invocati), «il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere». E c’è da stare certi che un Papa statunitense, nato nella “terra dei liberi e casa dei coraggiosi”, ma anche un vescovo missionario che ha portato il Vangelo e ha spalato fango nei villaggi del Perù, conosca bene il peso specifico della parola libertà.
Anche per questo non aveva nulla di forzato né di formale l’applauso caloroso (uno dei molti) che tutta l’Aula Paolo VI gli ha tributato quando ha ribadito «la solidarietà della Chiesa ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità» e ne ha chiesto la liberazione. Si avvertiva tutta la sincerità di quell’appello, si percepiva convinzione nella frase: «La sofferenza di questi giornalisti imprigionati interpella la coscienza delle Nazioni e della comunità internazionale, richiamando tutti noi a custodire il bene prezioso della libertà di espressione e di stampa».
Oro colato, soprattutto in tempi in cui non sono pochi i potenti della Terra che mostrano fastidio o, peggio, intolleranza nei confronti della libera stampa, che cullano il sogno (per niente segreto) di sostituirla con un bell’algoritmo che faccia e dica ciò che loro vogliono. Anche questo rischio è ben presente a Leone XIV, che ha incluso la sfida rappresentata dall’avvento dell’intelligenza artificiale tra le ragioni che l’hanno spinto a scegliere quel nome. L’IA generativa è per lui ciò che fu la rivoluzione industriale per il suo antico predecessore Leone XIII, autore della Rerum Novarum: un processo – ha osservato – dal «potenziale immenso, che richiede, però, responsabilità e discernimento per orientare gli strumenti al bene di tutti».
Questo monito investe direttamente il mondo dell’informazione, chiamato appunto a disarmare la comunicazione «da ogni pregiudizio, rancore, fanatismo e odio», a essere «capace di ascolto» e «di raccogliere la voce dei deboli che non hanno voce». Inutile negarlo, noi di Avvenire abbiamo accolto queste parole con un pizzico di orgoglio, perché sono proprio le coordinate sulle quali cerchiamo di impostare ogni giorno il nostro lavoro, ma senza alcuna presunzione. Anzi, le prendiamo come sprone a fare di più e sempre meglio. Grazie Santità, per la sua guida. Cercheremo con tutte le nostre forze di non deluderla. E ci auguriamo di essere in buona e folta compagnia.


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