L'illusione della trincea del «no» il campo aperto del «sì» alla famiglia
sabato 15 luglio 2017

Caro direttore,
l’introduzione del "matrimonio" omosessuale in Germania attraverso un voto del Parlamento forse non ha ancora attratto tutta l’attenzione e la riflessione che la vicenda merita. Indubbiamente alcuni saranno a favore e altri contro, questi ultimi nel complesso rassegnati a un’onda che sembra sempre più travolgente, e a cui è arduo opporsi. L’arcivescovo di Berlino ha osservato con ottime ragioni che sarebbe stato più saggio tenere ben distinti il matrimonio e l’unione civile omosex. Mi inducono a scrivere non solo il disappunto e il rammarico che un Paese tanto importante come la Germania abbia aderito alla vague montante, ma pure l’impressionante rapidità con cui in Occidente in pochi lustri l’ideologia neoliberale e libertaria – sostenuta in modo massiccio e costante dal sistema dei media – abbia acquistato terreno e abbattuto ogni ovvia differenza con il grimaldello di chiamare discriminazione ciò che discriminazione non è. La situazione è particolarmente seria e foriera di ulteriori sfondamenti dinanzi a un quadro legislativo e giuridico ormai vincente che promulga senza fondamento il "diritto al figlio", l’adozione per tutti, la fecondazione eterologa di ogni tipo, e in non piccola parte l’utero in affitto. Come filosofo e cittadino vedo nella situazione attuale di tanti Paesi un cedimento dalle conseguenze incalcolabili al positivismo giuridico, secondo il quale è diritto solo quello, appunto, positivo stabilito dallo Stato; questo può emanare qualsiasi regola se procede lungo i binari fissati dal metodo della maggioranza. Da quindici anni a questa parte, numerose volte ho sostenuto che le istanze parlamentari e giuridiche si arrogano una potere che loro non spetta: quello di dichiarare matrimonio ciò che matrimonio non è. La gravità della sfida proviene dal neoliberalismo libertario che si propaga velocemente in tutte le sfere dell’agire umano, e che stabilisce quale sia il comportamento legittimo. Kirill, patriarca di Mosca e di tutte le Russie, si è spesso mostrato critico verso il neoliberalismo, e ha invitato ad accogliere i valori liberali autentici, «a patto di rifiutare in modo fermo l’ideologia neoliberale e la sua visione della persona umana». L’invito è ancora validissimo, per quanto difficile sia il compito.

Vittorio Possenti

Grazie, caro professor Possenti, per questa riflessione, certo rapida, ma come sempre lucida e puntuale. Comprendo bene, e condivido, la sua preoccupazione e lo spirito con cui la esprime, condensandola nella asciutta frase del patriarca russo Kirill. Sottolineo, però, ed è solo un piccolo parere, che la grande sfida in questo nostro tempo, il coraggio che ci è chiesto, sta soprattutto nel testimoniare in positivo l’autenticità e la forza della famiglia aperta alla vita e fondata sull’unione matrimoniale tra una donna e un uomo. Sta, dunque, non solo e non tanto nel «rifiutare» una visione «neoliberale» e iper-libertaria che travolge e sgoverna relazioni economiche e sociali e induce anche a percorrere la strada verso il «matrimonio gay» (che contempla la "produzione" dei figli), ma nel riconoscere nella famiglia basata sul patto pubblico e solenne tra una madre e un padre una realtà inimitabile e insostituibile, naturalmente generativa e culturalmente valorizzata e definita. La sfida sta insomma nel riconoscere questa realtà superiore – come direbbe il Papa – a ogni idea, e nell’affermarla e viverla, dimostrandone la bontà e l’umanità profonda e senza duri e affaristici artifici (a cominciare dall’utero in affitto e dal commercio di gameti umani). Certo, come lei nota, l’onda contraria è forte, sostenuta da lobby potenti, e appare dilagante. Si sta facendo davvero di tutto, in Germania e altrove (anche da noi, in Italia), per confondere avventatamente ciò che non andrebbe confuso, come ha spiegato l’arcivescovo di Berlino Heiner Koch con un ragionamento sul "principio di distinzione" (che non è sinonimo di discriminazione) tra matrimonio e altri possibili tipi di unione tra persone. Un ragionamento – potremmo dire un discernimento – che i lettori di "Avvenire" hanno visto sviluppare a fondo e ripetutamente anche sulle nostre pagine nei lunghi (e purtroppo per troppi versi deludenti) mesi di dibattito sulle unioni civili e di battaglia per sottolineare l’inesistenza di ritornanti e inaccettabili diritti di "riproduzione" a ogni costo e con ogni mezzo e di desideri "proprietari" sui figli.Ha detto papa Francesco, considerando la pressione del pensiero dominante e le scelte (e le omissioni) politiche in diverse parti del mondo, che «la famiglia oggi è disprezzata, è maltrattata, e quello che ci è chiesto è di riconoscere quanto è bello, vero e buono formare una famiglia, essere famiglia oggi; quanto è indispensabile questo per la vita del mondo, per il futuro dell’umanità». Francesco sa dirlo con giusta e coinvolgente chiarezza. E chi sa ascoltare capisce. Per quanto mi riguarda, alla scuola del Papa, insisto: è questo l’impegno generativo, sereno e forte che nel nostro tempo ci è richiesto, da cristiani e da cittadini. Non è affatto facile, ma più ancora e meglio di ogni "no" è di un "sì" limpido, forte e rispettoso di tutti e di ciascuno, semplicemente "parlante", che c’è urgente bisogno.Non mi stanco di ripeterlo: non ci sono trincee dove possiamo illuderci di resistere a pie’ fermo e dove possiamo accettare di farci inchiodare; noi siamo quelli del campo aperto (per questo, e non è un esempio casuale, ci battiamo con alleati e alleate imprevisti e per qualcuno imprevedibili per bandire la pratica della maternità surrogata). Sì, in campo aperto e a viso aperto: mai da soli, mai violenti, mai frenati da incomprensioni e disattenzioni, mai impauriti dalle condizioni minoritarie di partenza e dalla forza altrui e neppure dal rischio di qualche incurante e presuntuoso fuoco amico...

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI