martedì 18 novembre 2008
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La notizia dell'Istat sull'inesorabile aumento dei figli unici, che oggi costituiscono più di un quarto dei ragazzi italiani, e addirittura il 30% al Nord, ci fa venire in mente un episodio di alcuni anni fa. In un albergo delle Dolomiti alloggiava una giovane coppia scortata dai quattro suoceri, con un bambino sui tre anni che terrorizzava la sala, all'ora di cena, con le sue urla di aspro dispetto per qualsiasi vivanda. Il bambinetto, benché occhiutamente sorvegliato da sei adulti e forse proprio per questo, era parecchio irrequieto. Una sera, sfuggito alla marcatura dei quattro nonni, scappò e, di corsa, capitò fra i piedi di un ospite. Entrambi volarono per terra. Ne seguì un'aspra scenata da parte dei nonni e dei genitori non al bambino, ma all'ospite che si era permesso di camminare senza guardare attentamente a ottanta centimetri da terra. Nessuno dei presenti fiatò, e il bambinetto se ne andò sdegnato e offeso con le sue sei guardie del corpo accigliate. Oggi quel bambino deve essere sui sedici anni, e sarei curiosa di ritrovarlo, giusto per chiedere ai suoi: allora, come è andata? Quel ragazzino era il modello esasperato del figlio unico, vezzeggiato come una creatura straordinaria, vestito firmato dalla testa ai piedi, despota e, a giudicare da quanto strillava, piuttosto infelice. C'è da augurarsi che il 25 per cento dei nostri figli che oggi crescono senza fratelli non siano ridotti così. Di certo però il fatto che fra vent'anni avremo un'Italia in buona parte di figli unici, mentre i nostri nonni crescevano in grappoli di tre o quattro o più, comporterà qualche mutazione. Non si viene su alla stessa maniera, in tanti o da soli. Fin dal primo giorno lo sguardo è diverso: tua madre non è solo tua, se hai un fratello, e su nessun giocattolo puoi stendere la mano senza che qualcuno venga a contestare la prepotenza del diritto assoluto. Non ci sei solo tu; c'è sempre un altro con cui fare i conti, per giocare o litigare o fare a botte. È un apprendimento fondamentale e incarnato: "non" siamo soli, e non viviamo solo per noi. A volte, la compagnia può risultare ingombrante. Uno dei miei figli all'asilo andava a trovare un amico "unico" e tornava sospirando: quello aveva in casa un negozio intero di giocattoli, e lui, invece, diceva malinconico, «due fratelli». In effetti la camera di quell'amico pareva il deposito di Santa Klaus. Troppa "roba", per non celare l'ansia dei genitori che lo vedevano solo. Perché con facilità l'istinto materno e paterno nel concentrarsi su un solo figlio si ipertrofizza. Quanti, di questa generazione, non sapranno mai cos'è badare a un fratello piccolo, cominciando a sentirsi grandi. Quanti faticheranno a sottrarsi all'amore possessivo di madri e padri, che hanno solo loro. E, nella vita sociale, sarà davvero indifferente l'avvento di una generazione di piccole coccolate monadi? Quella solidarietà, quello sguardo più ampio e generoso che ci viene testimoniato dai vecchi, davvero non ha nulla a che fare con il condividere fin dall'inizio la vita con un fratello? Uomini, si diventa da bambini. E certo in tempi di precariato, di servizi sociali rari e preziosi, di madri strozzate fra il tempo pieno e gli orari dei nidi, avere un figlio è già impegnativo, e averne due quasi temerario. Desiderano, le italiane, dicono le ricerche, quel secondo e terzo bambino che sempre meno spesso arriva. Ma per un reddito basso, indicano le statistiche, un'altra maternità può fare scivolare quasi alla soglia della povertà. Di questi tempi, poi, con la crisi, quale arrischiato azzardo può sembrare un figlio in più. Eppure, nessuno dei giocattoli che gli italiani compreranno al primo figlio per Natale sarà uguale a quel piccolo intruso, a quel rompiscatole che sarebbe per il primogenito un fratello. In casa tua, un altro con cui condividere tutto. Un fratello " un compagno, una benedizione.
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