Carneficina non alibi. A Kabul la strage che fa comodo a molti
venerdì 27 agosto 2021

L’attentato più vigliacco. La fine più ingloriosa della presenza occidentale in Afghanistan. E forse l’alba livida e tragica di una nuova stagione di terrore, a Kabul e non solo. Mai attentato fu più annunciato, ma i kamikaze che si sono fatti saltare tra civili inermi in fila all’aeroporto difficilmente potevano essere fermato dai militari ancora nello scalo. Potevano intercettarli i taleban? Non lo si può escludere. La carneficina che sdegna il mondo fa comodo (in parte) anche a loro. Finirà con l’accelerare la partenza degli occupanti e frenerà qualche afghano dall’estremo tentativo di unirsi ai fortunati passeggeri degli ultimi voli verso la libertà. L’autobomba che ha colpito al cuore anche i soldati americani è forse opera del Daesh, deciso a far marcare tragicamente la sua presenza nel Paese riconquistato dall’estremismo sunnita. Tra i risultati indiretti vi è quello di accresce gli alibi dell’addio frettoloso e carico di nefaste conseguenze da parte degli Stati Uniti.

La Casa Bianca è colpevole non di un ritiro pressoché inevitabile, ma di una mancanza di strategia che sta causando in Afghanistan un disastro umanitario ed espone l’America a una rotta militare e a una umiliazione politica di proporzioni difficili da occultare. Di fronte a tanti altri caduti, Biden vede indebolirsi la propria leadership pure sul fronte interno, che sperava non intaccato. L’estremismo islamico usa come carne da macello i suoi stessi fratelli nella fede per evidenziare la debolezza di un "nemico" costretto ora alla fuga precipitosa e scomposta. Saranno ancora ore cariche di angoscia, con la disperazione ai piedi degli aerei, negli ultimi decolli pressati dal timore di altre bombe. Le buone intenzioni di altri vertici diplomatici, trattative e possibilità di continuare l’azione umanitaria in Afghanistan ora si scontrano tristemente con la semplice logica di morte di chi non vede altro che odio e distruzione. E può ispirare pericolosi progetti emulativi in altri contesti.

Nel giorno in cui il nuovo regime annuncia che tornerà a vietare persino la musica, un’altra entità (il cosiddetto Isis-Khorasan, costola del Daeh e già autore quest’anno di un orribile eccidio in una scuola femminile) sfida il Califfato (o finisce per fare adesso il suo gioco) in un’escalation di violenza che rende nero il futuro di quanti avevano sognato una nuova stagione nel segno dell’appoggio occidentale.

Anche nell’epilogo più buio non si può non ricordare come l’Italia per vent’anni abbia gettato semi che sono già in parte sbocciati e non spariranno del tutto in breve tempo. Il ponte aereo che ha portato nel nostro Paese qualche migliaio di esuli è l’adempimento di un imperativo etico che non pacifica le nostre coscienze, ma lascia viva la speranza di poter coltivare una classe dirigente in esilio. Potrà mai ritornare in patria? Potremo in qualche modo evitare che a Kabul, come a Herat o a Kandahar scenda la notte dell’oppressione e della paura? Tutto oggi fa inclinare verso il pessimismo della ragione. Perciò è quanto mai urgente ripensare agli errori compiuti e a rinnovate strategie politiche e militari. Il multilateralismo auspicato dal premier Draghi può essere una via per evitare che l’Afghanistan diventi un nuovo santuario del terrorismo. L’Europa e la Nato devono tuttavia riconquistare quella autorevolezza e quella capacità di essere faro e sentinella di valori umanitari e di sicurezza che le vicende di questi giorni hanno fortemente eroso. Solo così non saranno stati del tutto sprecati vent’anni di impegno in Afghanistan.

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