Italia e Brasile, non solo Battisti. Verità per padre Tore Deiana
sabato 15 dicembre 2018

Caro direttore,
c’è di nuovo clamore intorno alla possibile estradizione di Cesare Battisti dal Brasile, ma io vorrei richiamare la sua attenzione e quella dei lettori su un altro caso di giustizia mancata nelle relazioni tra l’Italia e il grande Paese latino-americano. Il 16 ottobre 1987 venne assassinato lungo la Transamazzonica (Parà, Brasile) il padre saveriano Salvatore Deiana originario di Ardauli (provincia di Oristano), giovane missionario della prelatura territoriale di Xingu (con sede ad Altamira), collaboratore del vescovo di origine austriaca dom Erwin Kräutler, che rimase gravemente ferito nell’attentato, causato dall’assiduo impegno di entrambi a favore delle popolazioni indigene, dei contadini poveri e della foresta amazzonica. Per questo motivo il vescovo di Xingu nel 2010 ha ricevuto il Premio Nobel Alternativo, oltre ad altri riconoscimenti internazionali, anche se in Italia è quasi del tutto sconosciuto.
La dinamica dell’uccisione fu molto semplice: mentre il vescovo e padre Salvatore si recavano in automobile lungo la Transamazzonica per dare conforto umano e religioso ai coloni (in agitazione perché violati nei loro diritti fondamentali in quanto costretti a vivere in condizioni impossibili), al km 23 venne lanciato contro la loro auto in senso frontale un pick-up con a bordo due persone, che poi fuggirono, secondo la testimonianza scritta di dom Erwin Kräutler.
I responsabili dell’aggressione da più di trent’anni godono di impunità assoluta. Non è stata mai accertata la responsabilità penale dell’assassinio del padre saveriano nel cuore dell’Amazzonia. Il fatto è ampiamente documentato da diversi libri, uno dei quali dello stesso vescovo Kräutler che ha retto la Chiesa di Xingu dal 1971 al 2015. Questi nel suo libro "Ho udito il grido dell’Amazzonia", scrive: «I testimoni non sono stati ascoltati. Neppure io che nonostante le gravi ferite in nessun modo ho perso i sensi. E affinché il macabro servizio fosse completo, inventarono false spiegazioni. Una perizia inventata, falsata di proposito, è stata passata alla stampa (...). Le cause misteriose del disastro sono coperte da un silenzio tombale. La domanda di processo che avrebbe dovuto chiarire i fatti è stata dimenticata, cestinata».
È utile precisare che il 28 marzo 1989 venne presentata un’interpellanza parlamentare da parte del deputato Giovanni Battista Loi, a cui rispose – in modo del tutto inadeguato e inconsistente – l’allora sottosegretario agli Esteri Susanna Agnelli, che accolse passivamente la versione dell’«incidente fortuito» fornita dall’autorità brasiliana. Sarebbe come se, nel caso dell’omicidio di Giulio Regeni, lo Stato italiano si fosse accontentato della prima versione fornita dal Governo egiziano.
Nella loro veste istituzionale, i ministri degli Esteri e della Giustizia italiani dovrebbero interessarsi del fatto, per ottenere un atto di giustizia a favore di un cittadino italiano ucciso, a trentun anni, nello svolgimento della sua missione religiosa, umana e sociale a beneficio delle popolazioni indigene, dei contadini senza terra e della foresta pluviale, che costituisce il cuore della biodiversità planetaria. Si tratta di attivare finalmente i loro Ministeri in un’azione diplomatica tra l’Italia e il Brasile per giungere a una sentenza giudiziaria che vada incontro alle attese dei cittadini italiani, dei familiari dell’ucciso e della comunità di Ardauli, secondo le disposizioni del diritto internazionale. Cordiali saluti.
Giuseppe Deiana, Milano

La ringrazio di cuore, caro professor Deiana, per questa lettera così misurata nei toni eppure coinvolgente e, per me, emozionante. È infatti del tutto giusto che l’Italia dopo tanti anni continui a battersi con le autorità brasiliane perché sia resa giustizia alle vittime delle morti violente e di altri misfatti compiuti nel nostro Paese e che sentenze passate in giudicato pongono nella responsabilità di Cesare Battisti, già esponente del gruppo eversivo “Proletari armati per il comunismo”. E questo anche se Battisti, evaso dal carcere nell’ottobre del 1981 e da allora latitante all’estero, prima in Francia e sino a pochi giorni fa in Brasile, si è tenacemente dichiarato innocente e da molti anni ha cambiato totalmente vita. Ma è almeno altrettanto giusto che ci si impegni per rendere giustizia a un testimone luminoso come padre Salvatore Deiana («Tore», in famiglia e per tutti coloro che lo hanno conosciuto, ammirato e amato) il missionario italiano ucciso in Brasile due volte. Assassinato una prima volta, materialmente, con l’attentato automobilistico che lei, gentile amico, ricostruisce in modo rapido e preciso, restituendoci anche il contesto di odio per la testimonianza evangelica di padre Tore e del suo vescovo, monsignor Erwin Kräutler, nel quale quell’atto premeditato avvenne. E ucciso una seconda volta, moralmente, a causa della vergognosa acquiescenza delle autorità italiane nei confronti dell’insabbiamento giudiziario operato in Brasile. La memoria che lei riaccende oggi, professore, con un sacrosanto parallelo col caso egiziano di Giulio Regeni è un nuovo piccolo atto di cristiana riparazione e di civile resistenza all’oblio e alla complicità che è spesso frutto di calcolo o anche solo di indifferenza. Ma posso dirle che saremmo in tanti – certo tra i lettori di questo giornale, nella Chiesa e nella famiglia Saveriana, nella bella terra sarda del Barigadu e in tutta la Sardegna – a essere felici e rincuorati se il nostro Governo riaprisse il “dossier Deiana” troppo frettolosamente archiviato. Oso sperarlo anch’io. Nonostante oggi in Brasile ci sia un Presidente eletto che, diciamo così, non porta esattamente nel cuore chi difende il popolo e il territorio dell’Amazzonia brasiliana. Verità per padre Tore. La stessa che lui ha servito con la sua vita data per i poveri. Grazie ancora, ricambio il suo cordiale saluto.

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