mercoledì 17 marzo 2010
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Non siamo alla vigilia di una terza Intifada, come da punti di vista diversi ma parimenti autorevoli confermano il custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, e Dudi Cohen, capo della polizia di Israele. Ma da mesi si temeva che accadesse proprio ciò che ora vediamo: proteste violente, scontri, il ristagno politico che diventa corrente pericolosa. Le parti si rinfacciano ora tutta una serie di provocazioni: la costruzione di una sinagoga a Gerusalemme Est, il controllo esclusivo del Monte del Tempio, l’attivismo sobillatorio di Hamas. Ma a complicare le cose è soprattutto la favola intransigente in cui israeliani e palestinesi trasformano le proprie ragioni. Per esempio Gerusalemme Est. È vero che anche quella parte della città ricade, secondo le risoluzioni internazionali, al di là della Linea Verde tracciata nel 1967 dopo la vittoria israeliana nella Guerra dei Sei Giorni, ed è quindi a tutti gli effetti "territorio occupato". Ma non si può dimenticare che in quei quartieri vivevano anche gli ebrei, da lì cacciati dopo la partizione della città nel 1948, cioè alla fine della guerra che gli eserciti arabi avevano scatenato per rifiutare il piano Onu di divisione della Palestina tra palestinesi ed ebrei.Altrettanto si può dire di Israele. La proclamazione di Gerusalemme quale capitale indivisa dello Stato ebraico (1950) e la Jerusalem Law del 1980 furono e restano una prova di forza. E della politica degli insediamenti tutto si può dire tranne che sia dettata dalle circostanze. Al contrario, è l’unico elemento comune a tutti i Governi di Israele, qualunque sia il loro colore, e viene da essi perseguita con tenacia e lucidità. Nel 2004 il premier Ariel Sharon chiese alla Procura Generale un’indagine. Se ne occupò il giudice Talya Sasson che nel 2005 pubblicò un Rapporto di 340 pagine che parlava di almeno 150 insediamenti illegali secondo la stessa legge israeliana, avvertendo però che il numero reale era superiore, visto l’ostruzionismo che le autorità avevano opposto alle sue ricerche. Soprattutto i ministeri della Difesa, delle Costruzioni, dell’Educazione e dell’Energia, che avevano stornato milioni e milioni per sostenere gli insediamenti.Ehud Olmert, primo ministro dopo Sharon dal 2006 al 2009, si era impegnato con Bush a bloccare gli insediamenti, che crebbero invece durante il suo mandato. Dopo di lui l’attuale premier, Benjamin "Bibi" Netanyahu: ma qualcuno può davvero credere che non sapesse delle 1.600 unità abitative da costruire a Gerusalemme Est (ma secondo il quotidiano Haaretz, il Governo ne prevede 50 mila), annunciate dal suo ministro degli Interni proprio mentre Joe Biden, vicepresidente Usa, era in Israele?Per non parlare di Gaza. Nella Striscia non si avverte alcun segnale di saggezza da parte di Hamas, che anzi diffonde la tentazione estremista in Cisgiordania; fuori dalla Striscia prosegue il blocco di Israele, che esaspera i palestinesi. In Cisgiordania, Abu Mazen è sempre più incerto e impotente, e pacifista per necessità; fuori, sul lato israeliano del Muro, si pensa alla terra, dopo aver chiesto per anni allo stesso Abu Mazen dimostrazioni di buona volontà. Gli uni e gli altri si muovono come se non ci fosse futuro. Gli israeliani paiono convinti che milioni di palestinesi traslocheranno in massa, forse sulla Luna, visto che per loro escludono tutto: sia che abbiano uno Stato proprio, sia che abbiano la cittadinanza se lo Stato di Israele dovesse restare l’unico. I palestinesi credono da sempre che Israele un giorno sparirà, a dispetto del suo buon diritto a esistere, della sua superiorità politica, economica e militare e anche del fatto che a quell’ipotesi credono ormai solo loro. La favola si ripete. In quell’angolo di mondo, intanto, si soffre sempre e spesso si muore.
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