Un abbraccio ai Vigili del fuoco, sempre dalla parte della gente
martedì 22 agosto 2017

Un abbraccio ai Vigili del fuoco. Grande quanto grande è il sole. Vero, genuino, sincero. Un abbraccio da parte delle persone comuni, mamme, papà, nonni, bambini. Un abbraccio dagli abitanti di Ischia, dei turisti, della Chiesa ischitana, del caro, giovane vescovo Pietro Lagnese.

Nei momenti più terribili, quando l’impotenza ci fa sentire piccoli, piccoli, incapaci di fare qualsiasi cosa, quando ci sentiamo prigionieri del fato, della natura cattiva, in balia dello scoraggiamento, della rabbia, della paura, arrivate voi. E iniziate a lavorare senza risparmio di forze, senza badare ai pericoli. Senza chiedervi di chi è la colpa, chi sta sotto le macerie, chi ha appiccato il fuoco alla casa he brucia, senza tener conto del pericolo.

Arrivate e salvate vite umane, e ci donate gioia, ci aiutate a riprendere fiato, a sperare ancora. Possiamo dirvelo, senza rischiare di essere banali? A Ischia, come altrove, ieri siete stati stupendi.

I tre bambini, incastrati tra le macerie ci hanno fatto tremare. Abbiamo passato la notte svegli per seguire il vostro lavoro; siamo stati in ansia, abbiamo pregato, invocato, sperato. Poi il miracolo. Uno dopo l’altro li avete tirati fuori, li avete rimessi al mondo, riconsegnati alla vita. Se aveste potuto sentire le grida di gioia che si è levate nelle nostre case. Sapeste quante persone vi hanno benedetto. E quei bambini adesso sono un poco anche figli vostri. Ciro, già grandicello, porterà impresso nel cuore e nella mente il viso, la voce, il sorriso del pompiere che gli ha tenuto compagnia, lo ha delicatamente liberato dalla prigione che lo soffocava. Al più piccolo l’ incredibile epopea vissuta la notte tra lunedì 21 e martedì 22 agosto dell’anno 2017 sarà raccontata mille volte.

La riconoscenza che proviamo per voi, fratelli, è immensa. Vogliamo gridarla. Perché è giusto, perché fa bene al cuore, perché voi ci aiutate a essere migliori. Gli uomini, sovente, malati di pessimismo, di ignavia, di ingratitudine, sanno riappropriarsi della loro umanità, farsi umili, generosi, solidali. Sanno dire grazie. E chi non lo sa dire, non lo vuole dire, deve imparare a farlo. Ho paura di chi non sa dire grazie.

Mi spaventa l’uomo ingrato che dimentica presto il bene ricevuto. Mi imbarazza quando si convince che tutto gli è dovuto, che ha solo diritti e pochissimi doveri. Mi addolora vederlo riverso su se stesso, chiuso nella sua piccola cerchia di interessi, amicizie, parentele. Mi fa venire i brividi quando crede che la pietà vada riservata a qualcuno ma non a tutti.

Gioisce, si rallegra, riprende coraggio, invece, il cuore nel vedere uomini come voi correre in quei luoghi da dove tutti vorrebbero scappare. E vi immergete nei pericoli, correte rischi, e tante volte ci rimettete la vita. Senza pronunciare inutili parole sapete rendere unito questo nostro Paese che è migliore di quanto possa credere. Davanti alla televisione che ci rimanda le vostre immagini mentre vi calate tra i pericoli per inseguire un rantolo, un gemito, il pianto di un bambino, il respiro affannoso di un moribondo ci sentiamo migliori. Voi incarnate il meglio della nostra umanità.

“Se la mia vita è servita a salvarne un’ altra vale la pena di essere nati” credo sia il pensiero che vi da forza. “Al resto – immagino che diciate - penseremo dopo. Dopo aver messo in salvo i bambini, dopo aver dato degna sepoltura ai morti, dopo aver messo al sicuro i cittadini”. Dopo, a mente fredda, con onestà, serietà, senza permettere a nessuno di barare, imbrogliare, fare il furbo, cercheremo di capire come sono andate le cose; se la colpa è solo della natura imprevedibile, o c’è anche la mano dell’ uomo che non rispetta le regole del vivere civile. Dopo potremo ragionare e anche litigare; dopo cercheremo di capire se ci sono colpevoli. Dopo vogliamo fare pace con la natura e la costringeremo, quando esplode, a farci il meno male possibile. Dopo aver abbracciato e detto grazie a questi fratelli che fanno più bello il mondo e ci fanno sentire orgogliosi di appartenere a questa umana famiglia.

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