lunedì 13 luglio 2015
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Caro direttore, in questi giorni abbiamo vissuto momenti di panico anche a causa delle dichiarazioni minacciose della "diarchia virtuosa" franco-tedesca che sta di fatto governando l’Europa. Vorrei ricordare quanto successe nel 2003 e che fu timidamente riportato dalla stampa nazionale ed europea: «Francia e Germania non sono riuscite nel 2003 a rispettare ancora una volta il più "famoso" parametro inserito nel Trattato di Maastricht: la soglia del 3% nel rapporto deficit-Pil». È bene ricordare che questo valore fu individuato e fortemente voluto dalla Germania e dalla Francia perché erano preoccupate che «gli altri Paesi, una volta adottato l’euro, cominciassero ad adottare politiche economiche allegre e poco rigorose». Ora la scarsa disponibilità a comprendere e accettare le difficoltà altrui non possono far dimenticare l’aiuto che i tedeschi, in particolare, ricevettero dall’Unione europea nella difficile fase della riunificazione con la Germania Est. Vittorio Tesio Il direttore Marco Tarquinio risponde.Mi ricordo, caro signor Tesio, mi ricordo bene. E ricordo anche che dello sforamento francese e tedesco del famoso parametro di Maastricht del 3% si parlò, e ne parlammo su "Avvenire", senza alcuna timidezza . Ma ricordo pure un particolare che non viene mai sottolineato abbastanza e cioè che in quella vicenda, in quel 2003, risaltò il ruolo di non facile ma tenace e intelligente mediazione e conciliazione politica e istituzionale svolto per una parte dal presidente italiano della Commissione europea, Romano Prodi, e per l’altra dal presidente italiano di turno dell’Ecofin, Giulio Tremonti. Questo perché dovremmo essere più consapevoli del fatto che in passaggi delicati della costruzione europea, pure nei tempi contraddittori e spesso ancora deludenti che stiamo vivendo in questi primi lustri del XXI secolo, l’Italia continua a dare un contributo non solo remissivo e non solo formale. Voglio però tornare sul punto da lei sollevato con spirito polemico: la virtù della memoria delle proprie debolezze che soprattutto la signora Merkel e gli altri governanti tedeschi, a cominciare dal ministro delle Finanze Schaeuble, dovrebbero saper esercitare. Giusto monito. Al quale aggiungo volentieri quello che abbiamo fatto risuonare più volte su queste colonne negli ultimi giorni e che trovo magnificamente riassunto in una riflessione di papa Francesco che nei giorni scorsi a Quito, in Ecuador, ha ribadito una verità che vale anche per la Grecia e per l’Europa: in una famiglia – e pure in una famiglia di Stati – «se uno ha una difficoltà, anche grave, anche quando "se l’è cercata", gli altri vengono in suo aiuto, lo sostengono». Detto questo, mi pare necessario richiamare un dettaglio non secondario: la Germania seppe investire e mettere a frutto straordinariamente bene le risorse liberate grazie a quell’opportuna dose di flessibilità rispetto alla inevitabile "stupidità" delle regole rigide (espressione prodiana, che qualcuno non capì, ma che diceva in secca sintesi che il "rigore" non basterà mai per governare attività e relazioni nelle società umane). La Francia fece meno bene, ma sfruttò comunque seriamente lo spazio concessole. Bisogna ricordare anche questo: sebbene a qualcuno sembri che non sia così, flessibilità non fa inevitabilmente rima con irresponsabilità, mentre può ben essere uno strumento di solidarietà (e di sviluppo).
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