lunedì 25 agosto 2014
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La soluzione del problema iracheno (e siriano) non verrà certo sulle ali dei bombardieri e con i loro carichi esplosivi. Quelle azioni belliche decise dagli Usa sono solo un amaro rimedio d’urgenza per fermare la follia criminale degli islamisti dell’Isis e contribuire a evitare il genocidio di intere comunità. Ora che, nell’indecisione dell’Onu, l’Occidente si è mobilitato per aiutare gli innumerevoli profughi e ha scelto di sostenere i peshmerga curdi e le forze armate regolari irachene nella lotta contro il califfato jihadista, è evidente che si debba pensare a soluzioni credibili per stabilizzare l’area e, in particolare, quel disgraziato Paese che è l’Iraq. Il rischio, tuttavia, è che si finisca – come già avvenuto in passato – con lo scegliere rimedi che peggiorino l’instabilità, invece di migliorarla, aizzando le contrapposte comunità etno-religiose le une contro le altre. Purtroppo, sembra questo il rischio, ascoltando le ricette proposte dal vicepresidente americano Joe Biden, che ha rilanciato la sua vecchia idea di fare dell’Iraq uno Stato «veramente federale», in cui arabo-sunniti, arabo-sciiti e curdi possano sentirsi rappresentati e protetti. È dall’invasione del 2003 che si ripropone questa soluzione, apparentemente sensata, se non fosse che cozza con la realtà delle cose e con le dinamiche regionali. L’Iraq, proprio per volontà degli Stati Uniti, è dal 2005 uno Stato con una costituzione fortemente federale. Qualcuno, anzi, dice troppo federalista, guardando all’indipendenza di fatto delle politiche del governo regionale curdo (Krg). Tuttavia, quanto viene scritto sulla Carta costituzione non sempre si traduce concretamente nella realtà: soprattutto in Medio Oriente, ove il termine federalismo crea fortissime resistenze politiche e culturali. Il governo federale può reggere se vi è un consenso di base fra potere centrale e poteri locali e, soprattutto, se si dà alla parola "federale" un significato condiviso. In Iraq, al contrario, per il governo centrale di Baghdad "federalismo" significa concedere obtorto collo un poco di autonomia alle province. Per i curdi, che godono di molte simpatie nel mondo politico americano, significa invece indipendenza appena mascherata. Un problema ancora più grande è che dividere l’Iraq in tre parti federate, il Sud sciita, il Centro sunnita, il Nord curdo, è di fatto impossibile, come sa chiunque conosca davvero la situazione irachena. L’attribuzione di una regione a una comunità etnico-religiosa scatenerebbe pulizie etniche ancora peggiori di quelle avvenute durante questo terribile decennio post-Saddam. E cosa ne sarebbe della capitale Baghdad? O come si potrebbe mantenere il centro arabo-sunnita, che risulterebbe quasi privo di mezzi di sostentamento, se non togliendo risorse (e territori) alle altre due comunità? I sostenitori dell’idea iper-federale sembrano poi non comprendere come questo debole Iraq a tre teste finirebbe con l’esasperare il conflitto geopolitico fra sunniti e sciiti in Medio Oriente, scatenando le interferenze di Arabia Saudita e Paesi arabi, Iran, Turchia, Israele. E Biden sembra dimenticare che l’azione internazionale di queste settimane mira proprio a proteggere le altre minoranze minacciate di sterminio: cristiani, yazidi, turcomanni…, che si sentono parte di un Iraq unico, e non vogliono essere cancellate dentro una tripartizione che le penalizzerebbe ulteriormente. D’altra parte, dalla tragedia di questa estate sembra svilupparsi paradossalmente qualche effetto positivo: le dimissioni del pessimo al-Maliki, a favore di un nuovo primo ministro più moderato e aperto ai sunniti; la nuova comprensione della minaccia incombente rappresentata dall’estremismo jihadista sunnita e la consapevolezza della necessità di proteggere tutte le minoranze; un bagno di umiltà anche per il Krg curdo, che aspira all’indipendenza, ma che ha toccato con mano le proprie fragilità difensive. Bisogna, allora, lavorare su Baghdad partendo da questi risultati, affinché si riprenda la politica dell’inclusione dei sunniti, si rilanci la crescita economica lottando anche contro la spaventosa corruzione e si limiti il settarismo religioso, tornando a garantire i diritti e la sicurezza delle minoranze. Niente calcoli al tavolino, per favore. E ricette vecchie e inefficaci capaci solo di fomentare nuovamente paure e rivalità fra le diverse comunità dell’area.
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