Invitare un'amica africana in Italia: odissea (per una volta) a lieto fine
mercoledì 29 marzo 2023

Caro direttore,

vorrei segnalare certi ostacoli paradossali che si incontrano nelle nostre ambasciate e nei consolati, quando si chiedono visti per l'Italia. L'esperienza che racconto, una semplice storia privata, può forse valere come esempio di un problema più vasto. Di recente ho invitato a un breve pellegrinaggio in Italia una mia vecchia amica africana. Le ho spedito la lettera di invito richiesta dall'Ambasciata italiana e il biglietto aereo; ero inoltre tenuta a documentare, con una serie di estratti del mio conto bancario, la capacità finanziaria di accoglierla. Restava all'amica il compito di fissare telefonicamente, presso l'Ambasciata italiana, l'appuntamento per consegnare i documenti e richiedere il visto. L'amica vive nel Togo. L'ambasciata italiana ha sede ad Accra, nel confinante Ghana. Con i mezzi di trasporto locali, fra andata e ritorno, il viaggio richiede più di una giornata. (Viaggio che va poi ripetuto per ritirare il visto, quando è pronto, e infine entro due giorni dal ritorno in patria, per attestare di persona il proprio rientro!). Inaspettatamente, la difficoltà più grossa si è rivelata nell'atto più semplice: stabilire un contatto con l'Ambasciata. I due numeri di telefono ufficiali e l'indirizzo mail non l'hanno consentito. Anni fa, grazie al nostro console onorario in Togo, i contatti funzionavano e qualche viaggio veniva facilitato; ora, però, quel consolato non risulta più operativo. A niente è servito telefonare all'Ambasciata ad Accra anche dall'Italia: una voce automatica ripeteva che i numeri chiamati erano inesistenti. Mi sono allora rivolta all'Ufficio Relazioni con il Pubblico del nostro Ministero degli Esteri, che così mi ha scritto: «In merito alla sua richiesta, si informa che lo scrivente Ufficio, pur essendo consapevole delle estreme difficoltà che incontrano i cittadini nel contattare gli Uffici consolari e/o nel prenotare un appuntamento, non può aiutarla nel fissarne uno. Purtroppo, si tratta fondamentalmente di problemi legati al forte afflusso di richieste che il sistema deve sopportare quotidianamente. Il bacino di utenza è costantemente in aumento e crescono dunque le richieste di servizi consolari. Non si può far altro che invitare l'utenza a riprovare tenendo presente che i casi di specifica urgenza vengono trattati su base prioritaria. Si assicura di avere interessato della questione la sede di Accra, alla quale è stata inoltrata la sua comunicazione per gli opportuni séguiti». Quello stesso Ufficio ministeriale, da me interpellato direttamente, mi ha trasmesso un terzo numero telefonico dell'ambasciata: a questo finalmente ha risposto qualcuno. È seguito un comunicato online che fissava un «appuntamento aggiuntivo» per la mia amica. Una volta consegnati i documenti, era attesa la chiamata per l'appuntamento successivo, quello per il ritiro del visto. La data del viaggio in Italia si faceva ormai vicina, senza che arrivasse un segnale: neanche al nuovo numero di telefono rispondeva qualcuno. Alla vigilia della partenza stavamo già per cancellare il viaggio, quando finalmente una persona ha risposto, avvertendo che il visto era pronto. Grazie alla corsa in auto di un amico togolese molto generoso, il visto è stato ritirato e consegnato appena in tempo perché quell'amica potesse partire. Ognuno dei nostri interlocutori ha lavorato bene per noi: il problema era solo… trovarlo. Troppo a lungo ci ha risposto solo il silenzio. Se il nostro caso, in sé modesto, è stato infine risolto, viene però da pensare a casi ben più importanti che, privi di un soccorso speciale, non riescono a connettersi con le nostre rappresentanze diplomatiche. Fughe da situazioni invivibili, necessità di cure, ricongiungimenti familiari, risposte a oneste domande di manodopera, anche solo stagionale... Mi dicono che si riscontra la stessa difficoltà di accesso presso altre Ambasciate occidentali. Problemi tecnici sempre più insolubili? Riduzione delle sedi consolari? Eccesso di pratiche richieste? Il cittadino extracomunitario, che si logora nell'attesa di un visto, non potrà mai osare la protesta che io, europea, posso e devo fare senza timore. Lui tacerà e pazienterà. Oppure sarà tentato di cercare altre vie. Dovrà proprio cercarle nel deserto e sui barconi?

Biancamaria Travi, Busto Arsizio (Va)


Una piccola odissea per una volta a lieto fine, gentile e cara signora Travi, che merita il rilievo che mi accingo a darle. Proprio perché racconta l’ordinarietà di una situazione vergognosa e insostenibile. Se lei avesse invitato in Italia un’amica statunitense o canadese, non avrebbe dovuto penare e veder penare la sua invitata in modo assurdo. C’è un doppio standard tra Nord e Sud del mondo anche e soprattutto per quanto riguarda la libertà di movimento (e di relazione) delle persone. Ed è il frutto di una radicalmente diseguale e ingiusta impostazione del sistema, non della speciale malevolenza contro una o più persone. Proprio per questo – ripeto – la situazione è vergognosa e insostenibile. La sua amarissima domanda finale è perfettamente legittima. Se solo infinita e paziente tenacia e imponderabile caso rendono possibile l’ottenimento di un visto a condizioni più che esigenti, una persona disperata o in fuga che cosa dovrà fare se non cercare «altre vie»? Ecco perché da anni anch’io vado ripetendo che i soci occulti (ma neanche troppo) dei trafficanti di esseri umani sono i legislatori e i decisori della parte di terra e di mare dove noi siamo.

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