martedì 26 maggio 2015
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Che cosa direbbero oggi i padri fondatori di quell’Europa uscita dalle macerie della Seconda guerra mondiale e prima ancora dalla terribile strage della Grande Guerra se vedessero lo spettacolo attuale? Che cosa penserebbero osservando questo ribollente calderone di spinte centrifughe, di egoismi e di paure sul quale si staglia nella sua indisponente e immota sordità l’immagine di quell’Europa Matrigna già tante volte evocata e stigmatizzata di fronte allo sfacelo sociale prima che finanziario della Grecia, emblema – per ora solitario – dell’inconfessata necessità di un capro espiatorio, come se il default di Atene, la sua possibile uscita dall’euro bastassero a riportare nell’Unione Europea quell’armonia e quella concordia che da tempo non esistono più?Come giudicherebbero la cavalcata vittoriosa degli ex-indignati di Podemos alle elezioni amministrative spagnole che con la loro protesta anti-austerity mandano in crisi il tradizionale bipartitismo umiliando pesantemente il Partido Popular di Mariano Rajoy e ridimensionando i socialisti del Psoe, mentre s’avanza una quarta forza, i liberali di Ciudadanos? Nelle stesse ore la Polonia sanciva il trionfo al ballottaggio nelle elezioni presidenziali del nazionalista Andrzej Duda, che ha raccolto il consenso di agricoltori, operai, disoccupati, pensionati e studenti e portato al successo il partito Diritto e Giustizia (Pis) fondato dai fratelli Lech e Jaroslaw Kaczynski, ostentando senza mezzi termini il suo euroscetticismo, la sua contrarietà all’Europa unita e a Varsavia nell’euro. Solo tre settimane prima le elezioni politiche nel Regno Unito assegnavano a David Cameron una netta vittoria garantendogli la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni e precipitando i laburisti di Miliband e i libdem di Clegg nel buio di una teatrale sconfitta, confermando tuttavia come nel cuore profondo della Gran Bretagna si agitassero due movimenti profondamente anti-sistema come l’Ukip di Nigel Farage (che ha preso il 13% dei voti, ma a causa del sistema uninominale ha guadagnato un solo seggio) e lo Scottish National Party della "dama rossa" Nicola Sturgeon, che ha stravinto in 56 collegi su 59 portando ai Comuni 51 deputati. Con essi Cameron dovrà fare i conti e soprattutto dovrà mantenere la promessa di indire un referendum nazionale sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.E c’è una quarta formazione politica sul palcoscenico di questa Europa tormentata e in piena crisi che le elezioni le ha stravinte nel gennaio scorso mancando di un soffio la maggioranza assoluta, ed è Syriza, il partito radical-euroscettico di Alexis Tsipras, da mesi sotto i riflettori per l’estenuante partita a scacchi fra Atene e Ue, di cui tuttora non s’intravede la fine ma dove si scorge ogni giorno che passa la tragica futilità di una guerra combattuta fra le presunte forze del rigore e le allegre armate delle cicale, fra i Paesi del Nord che privilegiano i "compiti a casa" e quelli del Sud (politico e geografico) che si sono guadagnati il tristo acronimo di "Pigs" (in inglese: maiali), riferito a Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna (e qualcuno dice: anche Italia). Etichette peraltro già sorpassate: Irlanda e Portogallo sono uscite dalla crisi, la Spagna punisce il partito di governo, ma la sua economia è in ripresa. Ad essi è doveroso aggiungere quel non piccolo drappello di Stati membri dell’Unione – Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca in testa, cui sono seguite la Francia, la Spagna e la Gran Bretagna – che s’arroccano nel rifiuto di quote di immigrati da assorbire e accogliere entro i propri confini.Diciamoci la verità: quest’Europa dove a dominare sono quasi sempre le regole, i parametri, le cifre, i conti del pallottoliere e molto meno i cittadini, dove si è avvezzi a salvare le banche e molto meno i posti di lavoro, e dove la solidarietà rimane spesso nient’altro che una parola vuota «l’è tutta da rifare». Un’Europa dove la politica ha ampiamente latitato, protetta e vellicata da istituzioni di sicura rettitudine e valore, a cominciare dalla Bce, ma il cui soffio vitale è inesistente, perché non bastano manciate di milioni di euro per dare ossigeno ai debiti sovrani e far respirare una comunità di mezzo miliardo di persone. Mai forse come oggi l’Europa è in crisi, e i segnali sono talmente forti ed eloquenti che ignorarli o peggio distogliere lo sguardo significa solo accelerare un processo di disgregazione che in qualche modo è già in atto. Ed è questo il compito di chi l’Europa vuole cambiarla dalle sue stesse fondamenta, riscrivendone le regole, le prospettive, le finalità. Compito immane, quasi sovrumano, che nessun leader può affrontare da solo. Ma missione ineludibile, indispensabile, prima che il grande edificio immaginato all’indomani della fine della guerra ci crolli davvero addosso.
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