sabato 20 settembre 2014
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Alla fine, l’unione ha vinto. E, dunque, l’Union Jack manterrà tutti i suoi colori. Il primo ministro di Sua Maestà britannica, David Cameron, ha tirato un sospiro di sollievo e così la stessa Unione Europea, angosciata per un possibile «effetto domino» negli altri territori agitati da tentazioni indipendentiste. Come sempre, tutti cantano vittoria. Gli unionisti, per il risultato, i separatisti perché comunque «nulla sarà come prima». In realtà, ora che il bagliore dei riflettori si è spento, è possibile accorgersi di quanto questa campagna elettorale abbia avuto un carattere paradossale e persino contraddittorio. Prendiamo, ad esempio, le ragioni degli unionisti. Leggendo l’appello finale al voto dell’Economist, che con tono tra l’accorato e il minaccioso chiedeva agli scozzesi di non uscire dal Regno Unito, molti hanno avuto un soprassalto: ma a scrivere non erano gli stessi che continuano a chiedere alla Gran Bretagna di uscire dall’Europa (anch’essa) unita? E, invertendo le parti, lo scenario rimane surreale. Gli scozzesi, infatti, pur di ottenere la secessione dal Regno, hanno tranquillamente utilizzato gli argomenti utilizzati a Londra dagli unionisti (soprattutto tories) per ottenere la secessione dall’Europa; quegli stessi scozzesi che – ulteriore capriola logica – rappresentano la componente più "filo-europea" dell’elettorato britannico. E così, mentre gli scozzesi vogliono uscire dal Regno Unito per entrare in Europa, i filo-britannici vogliono il Regno Unito per uscire dall’Europa. Come spiegare questo gioco degli specchi, in cui si combatte un "nemico". ma la si pensa come lui? È una sorta di "follia" collettiva? Qualcuno può rispondere che quello che è successo in Scozia dimostra solo che le questioni di politica nazionale vanno tenute distinte da quelle di politica europea.Questa spiegazione, oltre che essere assai poco convincente, nasce da uno sguardo estremamente miope a quello che sta accadendo. «C’è del metodo in questa follia», commenterebbe uno che di britannici se ne intendeva; esiste, infatti, un denominatore comune tra queste posizioni politiche apparentemente speculari e contraddittorie. È un problema di ragioni. Per quale motivo oggi è preferibile rimanere uniti e perché, invece, è meglio dividersi? Questa scelta, con buona pace dei politologi o dei costituzionalisti, non è questione di strategie o di sondaggi d’opinione: essa tocca strati molto più profondi della coscienza pubblica, riguarda la cultura e i valori di fondo di un assetto sociale. L’idea attualmente dominante è che l’unità nasce dall’utilità reciproca; stare insieme è il frutto di un calcolo: cedo parte della mia indipendenza per ottenere in cambio un certo guadagno. Direbbero gli economisti che è un gioco «a somma zero»: la perdita di autonomia è compensata dal profitto. Questa idea è il legante culturale che accomuna il micro-separatismo scozzese al macro-separatismo britannico. E questa è l’idea che oggi, all’indomani del voto, ha vinto e che avrebbe prevalso comunque, anche se la Scozia fosse diventata indipendente. In realtà si sono scontrati due utilitarismi. L’ aspetto più inquietante è che tutti sanno che un simile idea è un veleno mortale per i tentativi di coesione. Le forme politiche unitarie (federazioni, confederazioni, unioni) che si fondano 'solo' su questo scambio, via via che i costi dell’unità crescono finiscono per non essere più sostenibili e, alla fine, 'esplodono'. La storia – europea e non solo – mostra, però, un’alternativa. Esiste, infatti, una ragione differente per l’unità, che non è contro il criterio dell’utilità reciproca, ma che non parte da un calcolo bensì da una constatazione: l’inter-dipendenza viene prima dell’indipendenza. La 'relazione' è un fattore costitutivo, tanto dell’individuo quanto degli Stati. Come giustamente osservava l’Economist, la forza del Regno Unito è sempre stata proprio la sua unità. Ma oggi, dopo il risultato scozzese, siamo tutti dinanzi a un bivio: dobbiamo decidere qual è il fondamento dell’unità. Il rischio, altrimenti, è che chi oggi ha vinto, domani, per le stesse ragioni, potrebbe perdere.
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