Il suicidio assistito "alla svizzera" è vietato, ma si può fare lo stesso
sabato 17 dicembre 2022

Caro direttore,
le scrivo per avere un’informazione, visto che io non sono un esperto tributarista e non mi pare che su “Avvenire” queste cose siano state spiegate. Mi domando se il servizio sanitario elvetico paga il suicidio assistito. E mi chiedo anche se le cliniche che eseguono questa “prestazione sanitaria” pagano le tasse sui profitti. E, ancora, se un cittadino italiano che paga per sé o propri congiunti questa “prestazione sanitaria” può organizzare le cose in modo che il costo venga detratto dalle imposte sul reddito? Tanto per essere aggiornato...

Silvio Ghielmi Milano


Il suicidio assistito in Svizzera non è un servizio erogato dalla sanità (pubblica o privata) della Confederazione. Infatti, anche in quel Paese la legge non consente pratiche eutanasiche e tantomeno di lucrarci su. Formalmente. La morte a comando, in realtà, è una possibilità “compassionevole” per la quale oltre il confine elvetico non si può e non si deve pagare. Formalmente. Come fanno, allora, le cliniche specializzate nel dare la morte a restare aperte e a prosperare grazie anche a una specie di turismo terminale da altri Paesi? Semplice: per i servizi resi non ricevono parcelle, ma donazioni. Che devono essere perfezionate prima dell’atto finale e sono irrevocabili. Questo significa che se chi ha completato la pratica per ottenere l’atto “compassionevole”, cioè di essere portato alla morte, dovesse ripensarci (e accade!) la cifra “donata” viene comunque incamerata dalla struttura. Mi basta saper questo per ritenere tutto meno che un modello di civiltà, come sostiene qualcuno, il meccanismo che in Svizzera permette di fare ciò che la legge non consente. È, roba, piuttosto, da sepolcri imbiancati. Ammetto, infine, di non sapere quale trattamento fiscale abbiano in quel Paese le donazioni e neppure se e in che misura possano essere detratte o dedotte dall’imponibile, presumo di sì, ma penso che questo riguardi solo coloro che lì risiedono, non i clienti, pardon, i ricoverati stranieri (italiani compresi). Temo anche che le strutture che incassano queste “donazioni” godano di un regime fiscale decisamente più favorevole di quello riservato a redditi e profitti vari.

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