sabato 9 ottobre 2010
COMMENTA E CONDIVIDI
Se c’è un Paese nel Vecchio Continente nel quale la parola "aborto", al solo leggerla o pronunciarla, è in grado di attirare un sovraccarico di attenzione da parte dei mass media, questo è senza il minimo timore di smentita la nostra Italia. Tre decenni abbondanti di interminabili battaglie parlamentari, ripetuti e accesissimi scontri referendari, polemiche infuocate sul terreno etico e sanitario, hanno reso a dir poco acuta la sensibilità dell’opinione pubblica nazionale su questo argomento. Di conseguenza, anche i sensori attivati dal mondo dell’informazione nei confronti del tema sono di solito ad alta capacità di intercettazione: basta che sui terminali delle redazioni appaia, sotto qualunque forma, la parola in questione – aborto – e immediatamente le antenne si drizzano, il torpore della routine si scuote e attorno alla possibile notizia scatta l’obbligo della verifica e dell’approfondimento.Per questo, anche agli occhi più smaliziati del vecchio cronista, rappresenta un vero e proprio mistero mediatico la totale e assoluta mancanza di resoconti su quanto è avvenuto giovedì all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa: e cioè il voto della risoluzione che ha bocciato il tentativo di limitare il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari alle prese con le interruzioni di gravidanza, ribaltando clamorosamente le previsioni della vigilia e quasi rovesciando come un calzino il testo e le finalità originarie dei proponenti.L’apertura di Avvenire di ieri. E invece non una riga, non un titolino, neppure in coda alle pagine più remote degli altri quotidiani nazionali. Non una citazione nei notiziari radiotelevisivi di qualunque rete, pubblica o privata. Neanche un cenno sui siti internet delle testate che aggiornano in tempo reale i frequentatori della blogosfera. Un black-out senza eccezioni, che rende semplicemente inesistente il fatto. Un silenzio tombale, che configura alla perfezione uno di quei casi di «indifferenza nei confronti del vero» denunciata proprio l’altro ieri dal Papa, come rischio saliente della comunicazione contemporanea.Dobbiamo ammettere, in tutta sincerità, che portare alla luce un fenomeno come quello appena descritto provoca inevitabilmente una certa sensazione di disagio. Si vorrebbe sfuggire al rischio di apparire i "maestrini" di turno, che si impancano a giudici dei colleghi (in questo caso, per la verità, di un’intera categoria), distribuendo lezioni di professionalità sempre soggette nel nostro mestiere a un elevato tasso di opinabilità. Ma in qualche modo è proprio l’assenza generalizzata della notizia che, ai nostri occhi, "fa notizia", che induce a interrogarsi e a cercare una spiegazione di quello che ci appare come un vero e proprio "caso" giornalistico.Perché non c’è dubbio che l’input di base sull’avvenimento in corso in quelle ore a Strasburgo non era mancato, che nell’imminenza del voto le agenzie di stampa avevano segnalato perfino un intervento sul Consiglio d’Europa del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini. E che bastava cliccare sul più noto motore di ricerca del web, per avere in un decimo di secondo almeno 3mila pagine di "archivio" e di contestualizzazione del problema. Del resto, organi di stampa di diversi altri Paesi e di impronta certamente laica (il francese Figaro, gli inglesi Daily Telegraph e Indipendent, per citarne alcuni) non hanno lesinato in coperture, mettendo in piena luce la posta in gioco.Al dunque, non avendo dimestichezza con la cultura del sospetto, non ci arrischiamo certo a immaginare che dietro questo nero schermo di indifferenza si nasconda una qualche improbabile regia o, peggio ancora, una consapevole congiura (anche se siamo pronti a scommettere che, con un diverso esito del dibattito in assemblea, la risonanza non sarebbe mancata). Piuttosto, essendo in ballo la libertà di coscienza, temiamo semmai una certa tendenza subliminale alla sottovalutazione. Il risultato? Il silenzio degli incoscienti.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: