martedì 23 agosto 2016
Ventotene, il sentimento europeista pilastro di pace e libertà
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L’incontro a Ventotene tra Matteo Renzi, Angela Merkel e Francois Hollande non poteva tenersi in un luogo simbolicamente più significativo. Qui, tra il 1941 e il 1944, venne scritto il Manifesto di Ventotene che propugnava un’Europa libera e unita. I suoi autori – Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni, ma un ruolo molto importante ha avuto anche Ursula Hirschman – non si trovavano per caso in questa piccola isola: erano stati condannati al confino per il loro antifascismo. Il Manifesto costituisce infatti una delle espressioni più significative del sogno europeista che ha animato tutta la Resistenza al fascismo e al nazismo nei diversi paesi europei. È nato cioè in reazione all’offensiva hitleriana che ha diviso e insanguinato l’Europa, bandito la libertà, oppresso e perseguitato milioni di ebrei, rom, politici ecc. Non a caso il Manifesto di Ventotene non costituisce un caso isolato. Il sentimento europeista è intensamente presente anche in molti altri documenti dell’epoca, cui gli antifascisti hanno affidato le loro speranze e i loro progetti per il futuro.  Il Programma di Milano – il primo documento programmatico della nascente Democrazia cristiana scritto nel 1942 – metteva ad esempio al primo posto questo obiettivo: «Nel quadro di una rinnovata società delle Nazioni – espressione della solidarietà di tutti i Popoli – Federazione degli Stati europei retti a sistema di libertà». Il sentimento europeista non si è diffuso improvvisamente in Europa negli anni della Seconda guerra mondiale. Già alla fine del Primo conflitto mondiale erano stati numerosi i pronunciamenti europeistici da parte di esponenti di diverse tendenze politico-culturali, da Luigi Einaudi a Filippo Turati, da Romain Rolland a Aristide Briand, da Otto Bauer a Gustav Straesmann, per citarne solo alcuni. Tra le due guerre, anche Luigi Sturzo espresse forti convinzioni in tema di federalismo europeo. Particolarmente noto è il nome di Richard Coudenhove-Kalergi, un filosofo e politico austriaco che fondò l’Unione Paneuropea e per primo propose la realizzazione di un’Unione europea. Ma questo patrimonio ideale e politico venne disperso negli anni trenta, con l’affermazione del nazismo e con la crescita di tensioni internazionali sempre più forti poi culminate con lo scoppio di un nuovo conflitto mondiale. I l dibattito che si riaccese durante la guerra non aggiunse molto, sotto il profilo culturale, a quanto elaborato in precedenza. Le circostanze belliche non permettevano dibattiti ampi e approfonditi. Ma fu sostenuto da convinzioni più forti e più diffuse. Le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale mostrarono con evidenza crescente che le divisioni e i conflitti tra i paesi europei conducevano inevitabilmente all’autodistruzione dell’Europa. L’unità europea si imponeva perciò come una scelta obbligata e passava per il ritorno della democrazia. Il progetto europeista che si cominciò poi concretamente a realizzare negli anni seguenti – il primo nucleo di un’Europa unita fu costituito dalla Ceca, la Comunità del carbone e dell’acciaio nata nel 1950 – è dunque strettamente connesso ad una scelta irreversibile per la pace e la democrazia. È un nesso sottolineato con forza da Pio XII già nel radiomessaggio natalizio del 1944 e non è un caso che la prospettiva dell’unità europea ricorra intensamente, seppure con accenti diversi, nei suoi successori, in particolare Paolo VI e Giovanni Paolo II. Tutto questo, oggi, può apparire molto lontano. E c’è chi raccomanda di lasciare da parte la retorica quando si parla di problemi europei, evitando di enfatizzare eccessivamente documenti come il Manifesto di Ventotene. Eppure il processo di integrazione europeo – che è si è sviluppato attraverso migliaia di piccoli passi e di modesti compromessi – non sarebbe mai iniziato senza l’audacia del sogno che si è sviluppato contemporaneamente in luoghi di confino e all’interno dei ghetti, nelle prigioni o dentro i lager. L’Europa non sarebbe mai nata senza l’utopia di uomini e donne che, benché schiacciati da un potere tanto più grande di loro, hanno saputo ribellarsi ad una realtà drammatica e opprimente. Si può obiettare che il percorso dell’integrazione europea ha seguito strade molto più realistiche. Non è stata seguita infatti quella federalista indicata dal Manifesto di Ventotene, che avrebbe dovuto condurre agli Stati Uniti d’Europa. Ne è stata percorsa un’altra, quella della costruzione mattone su mattone, attraverso accordi intergovernativi riguardanti questioni specifiche, per lo più legate a comuni interessi economici. Tuttavia non è mai venuta meno, nella mente dei padri fondatori – da De Gasperi a Schumann, da Monnet ad Adenauer , da Spaak a Luns, per lo più legati a partiti democratico-cristiani – la spinta verso una piena unificazione europea. Quando, negli anni cinquanta, venne proposta la fondazione della Ced – la Comunità europea di difesa, che avrebbe dovuto condurre alla creazione di un unico esercito europeo – gli italiani fecero inserire la proposta di un Parlamento europeo ad elezione diretta (la Ced non venne realizzata, ma dal 1979 è nato un Parlamento europeo eletto da tutti i cittadini europei). Si può parlare in questo senso di una prospettiva federalista sempre implicitamente presente nella lunga storia dell’unificazione europea. Oggi non esistono (ancora?) gli Stati Uniti d’Europa. Ma esiste una costruzione politico-istituzionale che ha suscitato moltissime imitazioni in tutti i continenti, dall’Asia all’Africa e all’America, dall’ASEAN all’OUA e all’OAS. È il frutto di un processo storico inedito: non la rinuncia ma la condivisione volontaria da parte degli Stati nazionali di quote della propria sovranità. Tra i risultati più eclatanti c’è stata la creazione di una moneta unica, di un mercato unico di merci e di capitali, di uno spazio unico dove circolano liberamente uomini e donne. Ma ci sono stati effetti indiretti non meno eclatanti: l’Europa è l’unico spazio al mondo senza pena di morte ed dove i diritti umani vengono maggiormente tutelati. Niente è irreversibile e ciò che è stato costruito può sempre essere distrutto. Ma recentemente papa Francesco ha rivolto all’Europa alcune domande decisive, che non possono lasciare indifferenti nessun europeo: «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?». La recente vicenda del referendum che ha deciso l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea – la Brexit – rappresenta un esempio preoccupante di come decisioni gravi e distruttive possono essere prese quasi per caso o, almeno, senza la necessaria ponderazione da parte di classi dirigenti e di semplici cittadini. Oggi in Europa stanno crescendo le forze antieuropeistiche: Il Partito per l’Indipendenza nel Regno Unito, il Front National in Francia, La Lega Nord in Italia, l’Alternative fur Deutschland in Germania ecc. Si ripete spesso che bisogna ascoltare il malessere di cui sono espressione. Ma questo non può significare condividere progetti distruttivi nei confronti della più solida garanzia di pace e democrazia oggi esistente nel mondo. I limiti dell’Unione europea non vanno contrastati con una minor ma con una maggiore unità tra gli europei. 
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