Il rimorso dell'artista (migliore chi fa il bene)
sabato 11 novembre 2017

Ogni volta che vediamo in tv un reportage crudele, o leggiamo su un giornale la cronaca di un’atrocità, o vediamo una foto spietata, per esempio di un bambino che sta per essere ucciso da un animale, scena che colui che ci parla sta osservando personalmente da pochi metri, ci domandiamo se colui che ci parla fa bene a scattare la foto o a prendere appunti, o non farebbe meglio a mollare tutto e correre in soccorso della vittima. Una bella foto di un’uccisione è una denuncia presentata all’umanità, di tutti i tempi e di tutte le lingue. Ma, intanto, la vittima? Deve morire perché noi meditiamo? Per dirla con il fastidioso linguaggio che i docenti di Estetica usavano anni fa: il godimento estetico di un’opera d’arte vale più della vita umana?

Ha risollevato questa domanda, pochi giorni fa, il 'Corriere', pubblicando la foto, e il commento, di una scena insopportabile: un bambino di pochi anni che sta per essere mangiato da un avvoltoio. Il bambino è in evidente stato di denutrizione, è uno scheletrino. È accasciato per terra, in primo piano, a un metro dalla macchina fotografica. Non ce la fa neanche a stare accasciato, crolla anche con la testa, tocca la terra con la fronte. Braccia e gambe sono stecchi. Al polso destro porta un braccialetto, sul quale chi l’ha osservato con strumenti che io non ho ha letto una sigla, T3. T3 è la sigla con la quale i Servizi dell’Onu segnano i malnutriti, T3 è il massimo grado di malnutrizione, prelude alla morte. Dietro questo bambino c’è un avvoltoio: dalla distanza di tre metri, goffo, immobile, fissa con attenzione la preda, con cinque-sei saltini può raggiungerla e beccarla. La foto ha questa spiegazione e nessun’altra che questa: animale che mangia un bambino vivo, fotografo che fotografa con indifferenza. Con indifferenza verso il bambino, non per la foto che fa, che infatti l’anno dopo gli valse il premio Pulitzer. La foto ebbe una grande diffusione, attirò sull’autore, Kevin Carter, un’ondata di, usiamo questo termine, gloria, ma anche di accuse. Gli chiedevano: «Ma non potevi buttar via la macchina e correre a salvare il piccolo?». Ha cominciato a chiederselo anche lui. E non ha più smesso. Non ha vissuto a lungo, dopo quella foto. Pochi mesi dopo il premio Pulitzer, si è suicidato.

Alcune biografie, brevi e perciò imprecise, accostano la foto al suicidio, con l’aria di dire post hoc, ergo propter hoc. Ma non è così. L’uomo aveva molti problemi, anzitutto di denaro. Ma anche problemi psicologici: lavorava in Sudafrica, al tempo dell’apartheid, assisteva a stragi, incendi, esecuzioni, torture, fame, stupri, anche ad opera dei poliziotti che dovevano assicurare la giustizia, e non ce la faceva più. Si sentiva in crisi. Combattuto fra l’atrocità di quel che vedeva, il dubbio che raccontandolo e diffondendolo ne moltiplicava la capacità disturbante e traumatizzante, e la coscienza che, se così tanti spettatori ammiravano le sue opere, voleva dire che prendevano coscienza di quei drammi, e dunque la sua opera faceva del bene. Ho cominciato questo articolo pensando di dar torto a questo autore: non fai delle foto, per quanto belle, su un bambino che sta per essere mangiato da un avvoltoio. L’uomo vale più dell’arte. L’anima vale più della gloria. Ma poi ho scoperto qualcosa che le prime notizie di questo 'bambino con avvoltoio' non dicevano, e cioè che il bambino non è stato mangiato, è sopravvissuto all’avvoltoio e alla carestia, anche se poi è morto ragazzo, a 17 anni. È stato rintracciato in Sudan da un giornalista. La fotografia ha una potenza comunicativa superiore alla parola. L’impatto di quella foto sull’opinione pubblica fu potente: tutti compresero la gravità della fame nel mondo, e l’urgenza di fare qualcosa, subito. La Fao ci dice che le vittime della fame nel mondo sono oggi 795 milioni, 216 milioni meno di allora. Alcune delle 'vittime salvate' son dovute alla foto del bimbo con l’avvoltoio. Kevin, hai fatto un lavoro utile all’umanità. Ti ammiriamo. Ma ti ammireremmo di più se sapessimo che il bambino (che qualcuno ha poi salvato) fu salvato da te: il genio è grande, ma il buono è più grande. Noi facciamo libri, film, quadri, foto, ma chi fa il bene è migliore di noi.

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