mercoledì 11 giugno 2014
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L'onorevole Luciano Violante, magistrato, docente, deputato dal 1979 col Pci e poi per 29 anni con Pds e Ulivo, non ha conosciuto di persona don Luigi Giussani. Ma è interessante ciò che ne ha detto l’altro giorno a Milano, discutendo insieme al sindaco Giuliano Pisapia e a Alberto Savorana del libro Vita di don Giussani, scritto da quest’ultimo.  Violante ha parlato del 'realismo cristiano' del sacerdote, di un suo cristianesimo «non impaurito dalla realtà», dove la parola «mistero» non è scappatoia, «ma luogo di approfondimento del senso della vita». Poi ha toccato un tema caro al fondatore di Cl, che ripeteva come la giustizia non basti a salvare gli uomini, e occorra invece anche la misericordia.  Violante pare essersi a lungo interrogato su questo argomento. Come, si chiede, è possibile tradurre in termini laici una simile affermazione? Secondo il professore la misericordia si può laicamente tradurre in relazioni, rapporti fra uomini. Ciò, aggiunge, «che oggi appare fortemente fratturato, nella esasperazione di una politica che parla solo di diritti, e dissolve così l’unità sociale: al punto che ci si può domandare perfino se questa società italiana sia ancora in grado di farsi rappresentare». Violante cita l’articolo 2 della Costituzione, che appaia ai diritti dei cittadini inderogabili doveri: «Troppi diritti fabbricano egoismi, rompono vincoli, mentre ciò che costruisce e salva una società è creare una appartenenza; e per far questo occorre ricordarsi dei doveri. Il realismo cristiano di Giussani è attuale oggi, in quanto spinge alla costituzione di vincoli, di rapporti, di comunità». Alla costruzione insomma di ciò che Giussani avrebbe chiamato un popolo – un essere con l’altro, e condividerne la storia e la speranza.  La laica misericordia di un tessuto comune profondo, di un essere insieme più intenso di ogni divisione. Ciò che tanto ci manca, nella delusione e nel rancore che si respirano oggi in Italia – e che tengono metà degli elettori lontani dalle urne. La speranza può rinascere dal desiderio di essere comunità, dice Violante. E meraviglia come il suo sguardo, gli anni avanzando, comprenda quello di un cristiano lombardo: figlio di un padre anarchico e di una madre credente – una di quelle leghe forti e tenaci, che l’Italia sapeva creare.
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