martedì 21 settembre 2010
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Dalle due sponde del Tevere è riecheggiato ieri il giudizio concorde sull’unità d’Italia e sul ruolo indiscusso di Roma sua capitale. La presenza del presidente Giorgio Napolitano e del segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone alla celebrazione del 140° anniversario di Porta Pia ha assunto un significato simbolico forte e rassicurante; perché testimonia un cammino storico lungo, a tratti sofferto, e dimostra la capacità dello Stato e della Chiesa di superare i conflitti, le divergenze anche forti, in una sintesi superiore di reciproco riconoscimento che da decenni apprezziamo nel nostro Paese ed è esemplare per tutto il mondo. Il conflitto c’è stato, è stato vero (e nobile), ma le due parti hanno sempre evitato che esso assumesse il carattere ultimativo che spesso nell’Ottocento era tipico dei conflitti nazionali. Anche lo scambio epistolare non facile che Vittorio Emanuele II e Pio IX ebbero prima e dopo il 1870 riflette la consapevolezza (e l’aspirazione) che un accordo sarebbe comunque stato necessario al Paese. Inoltre, l’Italia ha avuto sin dall’inizio la saggezza di rispettare l’angolo di terra rimasto in godimento al Papa, e ha elaborato quella Legge delle Guarentigie che nel 1871 dimostrò la volontà di non umiliare il cattolicesimo nazionale, né frapporre ostacoli (compatibilmente con il momento storico) alla libertà del Pontefice nella sua missione e azione universale.Pio IX non accettò la soluzione e inscrisse nella memoria storica italiana ed europea l’esigenza che l’autonomia della Chiesa fosse garantita a livello internazionale, non soltanto dal legislatore italiano. Punto sul quale la storia gli ha dato ragione. La controversia si è  mantenuta nei termini di una dialettica difficile, ma  aperta a soluzioni più durature, e ciò va a merito di entrambe i contendenti. Dei governanti italiani, che non hanno operato lacerazioni definitive, della Santa Sede e dell’episcopato italiano che hanno fatto sentire al Paese la loro vicinanza pastorale per le conquiste civili, e per le sofferenze della popolazione, prima e dopo il Concordato del 1929, nei due conflitti mondiali. Da entrambe le parti si sapeva bene che l’Italia, senza il tessuto cristiano che aveva alimentato la sua identità per secoli, non avrebbe potuto crescere; come era noto, nonostante strane ipotesi di allocazioni aliene, che la Santa Sede aveva il suo spazio naturale soltanto in Italia. Anche per ciò, il traguardo di una concordia piena era inevitabile perché rispondeva alle aspirazioni popolari più profonde. Quando l’incontro è avvenuto, Italia e Chiesa cattolica hanno vissuto una storia che si è intrecciata, amalgamata, sostenuta a vicenda nei momenti  difficili del secolo XX. L’Italia è risorta dalle ceneri della guerra e del fascismo anche grazie alla solidità democratica del cattolicesimo, protagonista della nuova stagione attraverso una classe dirigente che ha svolto un ruolo di primo piano nella storia repubblicana. La Santa Sede ha avuto dall’Italia pieno sostegno popolare e vere garanzie che hanno permesso al magistero del Papa di irradiarsi da Roma in ogni angolo della terra. Guardando a questa storia, il cardinale Giovanni Battista Montini nel 1962 ha dato sulle vicende dell’Ottocento un giudizio più maturo, ricordando che nel 1870 il conflitto toccò il l’acme, ma «la Provvidenza aveva diversamente disposto le cose, quasi drammaticamente giocando sugli eventi». E aggiungeva che il papa uscì «umiliato per la perdita delle sue potestà temporali nella stessa sua Roma ma, com’è noto, fu allora che il Papato riprese con inusitato vigore le sue funzioni di Maestro di vita e di testimone del Vangelo, così da risalire a tanta altezza nel governo spirituale della Chiesa e nell’irradiazione morale sul mondo, come prima non mai». Ancora guardando a questa storia, il presidente Napolitano ha riaffermato ieri il legame che unisce l’Italia e la Chiesa cattolica con un rapporto di libertà e di reciproco sostegno che non può incrinarsi, e il cardinale Bertone ha rivolto la preghiera a Dio perché conservi agli abitanti d’Italia l’eredità della fede in Gesù Cristo anche per le generazioni future. Napolitano e Bertone hanno così individuato nella storia condivisa dell’unità nazionale un patrimonio prezioso per l’Italia e per ogni sua componente sociale e culturale.
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