venerdì 23 gennaio 2009
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Come ogni anno anche ieri, 22 di gennaio, 200 mila pro- life hanno sfilato a Washington, nell’anniversario di quella sentenza ' Roe vs Wade' che nel 1973 legalizzò l’aborto negli States. Barack Obama è stato invitato a par­tecipare ( « Presidente, l’America vuo­le fermare le stragi nei Paesi lontani, ma anche qui c’è una strage, di un mi­lione e trecentomila figli all’anno » ). Naturalmente, nessuno si aspettava che l’invitato venisse. Già poche ore dopo il giuramento sul sito della Ca­sa Bianca il presidente ribadiva nella agenda la sua ferma convinzione pro­choiche, per la libera scelta della don­na, e l’intenzione di rimuovere il veto posto da Bush al finanziamento pub­blico della ricerca con le staminali em­brionali. Obama è stato finora noto­riamente, quanto a bioetica, un libe­ral, e neanche troppo moderato. Se­condo Robert George, autorevole membro del Consiglio di Bioetica a­mericano, anzi, è « il candidato più pro-aborto che sia mai entrato alla Ca­sa Bianca » . In campagna elettorale si è detto disposto a firmare il 'Freedom Act of Free Choice', una legge che ren­derebbe più ampio il diritto di aborto negli Stati dell’Unione. Sul piatto c’è poi la global gag rule, cioè il veto di fi­nanziamento a organizzazioni che pianifichino l’aborto nel Terzo Mon­do, posto da Bush nel 2006, e che og­gi gli abortisti si attendono di vedere rimosso. E dunque la marcia dei pro- life, dopo le ovazioni universali e pure nell’en­tusiasmo per lo smantellamento di Guantanamo, riporta Obama a una questione su cui non possono basta­re neppure le parole, belle e tanto ap­plaudite, del suo primo discorso. «Ab­biamo scelto la speranza anziché la paura » , ha detto il primo presidente nero d’America, e ha parlato di co­raggio, responsabilità, generosità, di «figli dei nostri figli» che un giorno rac­conteranno come i loro padri, nel 2009, raccolsero la sfida della grande crisi. Ma quanti, di questi figli, non nascono: tremila ogni giorno, 50 mi­lioni dal 1973. ( E figli neri in misura maggiore che bianchi, giacché anche negli Usa spesso la « libertà di scelta » è la rinuncia di una donna povera a un figlio). Barack Obama ha detto una volta che «una ragazza che sbaglia non deve es­sere punita con un bambino » . La sua provenienza ideale è esplicita. Ciò che lo è meno, è quanto l’assunzione con­creta del potere, e la responsabilità del governo di un immenso Paese, influi­ranno su un uomo che tutti defini­scono «pragmatico». Al di là di un’élite borghese e radicale gli americani, in grande maggioranza credenti, sono meno radicalmente abortisti che gli europei: venti giorni fa un sondaggio commissionato dalla Conferenza epi­scopale degli Usa indicava che l’ 80% della popolazione è favorevole a « re­strizioni » del diritto d’aborto. Ci si può domandare dunque se un presidente « pragmatico » rischierà l’aura quasi messianica che lo circon­da, per soddisfare la quota pro- choi­ce dei suoi elettori. E non è poi solo questione di convenienza politica. L’uomo arrivato alla Casa Bianca an­nunciando speranza, responsabilità, generosità, potrà riaffermare il pri­mato assoluto dell’individualismo che sta sotto la pretesa di un « diritto as­soluto » d’aborto, e allargare questo di­ritto? Forse i suoi vecchi compagni di battaglie resteranno delusi. Forse non si andrà molto oltre lo status quo. Dopo la favolosa epifania di Barack Obama a Washington, dopo la sua e­levazione a « uomo nuovo » di quella che già viene detta « nuova era » , è possibile che la crisi globale e il Me­dio oriente cambino, che Guantana­mo chiuda. Ma intanto quel milione e trecentomila americani continue­ranno ogni anno, silenziosamente, a non nascere.
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