martedì 10 maggio 2016
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Politica e giustizia, rubare e vergognarsi, rubare senza più vergognarsi; fare sentenze e qualche comizio, fare comizi e tardare a far sentenze. Nei giorni delle polemiche e delle bacchettate sulle dita dei polemisti, degli interventi intesi ove a smorzare ove a riattizzare le disfide, nei giorni delle tante troppe parole che volano come frecce, e di quell’altre che poi voglion distinguere e sopire e fanno strepito anch’esse, l’attenzione di massa sembra rivolta a quelli che Tacito chiamò gli «arcana imperii», i princìpi (o i segreti) del potere, del sistema politico-giuridico globale, del bilanciamento o conflitto fra poteri dello Stato.Ma mentre discutiamo, un po’ rabbiosi gli uni con gli altri, di virtuosi concetti e di giuste architetture costituzionali, su questo punto nevralgico tornato scottante, non dovremmo perdere di vista che a conoscere chi siamo, chi siamo come popolo, come comunità civile, come villaggio umano (da cui proviene chiunque poi svolga una funzione pubblica), il termometro è quello della quotidianità, dei giorni feriali, delle condotte che la statistica registra come ricorrenze significative, e la sociologia decifra come vere e proprie tendenze. La corruzione, in senso lato, sembra da noi una tendenza. O almeno un connotato che ci svergogna in faccia all’Europa, dove siamo i penultimi della classe, secondo Transparency International. È vero che la classifica parla di «corruzione pubblica percepita», ma si potrebbe davvero sostenere che la realtà è migliore di quello che sentiamo a pelle?Non ci sono ancora andate via dagli occhi le immagini impietose delle telecamere nascoste sulla timbratura dei cartellini di presenza al lavoro da parte di pubblici dipendenti accusati di assentarsi, e quel che ne è seguito di licenziamenti e arresti; e ancora oggi la storia si ripete a Foggia, con venti dipendenti comunali indagati, 13 arrestati; e a scorrere le cronache intermedie sulla timbratura fasulla delle schede sembra che la storia sia davvero "la solita storia". Sia detto con tutte le garanzie di presunta innocenza fino a quando ci saranno le sentenze definitive (a proposito, quando?); ma la rabbia c’è. C’era stata - ricordate? - l’irritazione del premier che a gennaio diceva «bisogna cacciarli in due giorni, questi che timbrano» così. Se però sovrapponiamo in dissolvenza incrociata l’immagine di parlamentari che votano anche con i tesserini di colleghi assenti, la voglia di cacciarli prende noi.Tendenze, costumi. A Cagliari, si scopre che in cinque ospedali correvano soldi nelle tasche di alcuni dipendenti per i funerali dei morti, segnalati ad agenzie funebri in vogliosa concorrenza. Ma di fronte ai 20 arrestati e ai 168 indagati per la vicenda, un po’ macabra, ci viene un senso di sconforto perché un simile "procacciamento" è diffuso, a detta di molti, in molti altri luoghi e in molti altri settori. Retata o scalogna?Dobbiamo levarci per intero questa rogna. Gli episodi di corruzione che pesano come macigni sono quelli dei potenti; quelli dei poveracci sono granelli di sabbia. Ma tanta sabbia può pesare alla fine molto più di un macigno. Se siamo consapevoli di questo, cominciamo a capire che né le leggi bulldozer né le sentenze schiacciasassi ne verranno mai a capo. Bisogna togliere la sabbia, granello per granello; bisogna che la nuova generazione sia educata a non gettarne più neppure un pulviscolo nella vecchia discarica della disonestà; altrove ci sono riusciti. È un nuovo costume, il piacere dell’onestà.
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