domenica 7 novembre 2010
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Si è scomodato solo per criticare lo zapaterismo? Tutto qua? Due giorni di appuntamenti liturgici – il pellegrinaggio compostelano, la consacrazione della Sagrada Familia – al solo scopo di cantarle chiare al premier laicista? Era questa, ieri sera, la sbrigativa lettura che il quotidiano progressista e filogovernativo El Pais offriva sul suo sito web della due giorni del Papa in Spagna. Un riduzionismo che, prendendo spunto dalle prime parole di Benedetto XVI sul volo che lo stava conducendo sulla punta occidentale della penisola iberica, stride in modo imbarazzante con la levatura del ragionamento sviluppato dal Papa nel corso della giornata, fino all’omelia di ieri sera nel santuario agli estremi confini del continente: una grandiosa esortazione all’Europa perché si levi di dosso la sclerosi culturale che la rende vecchia e inadeguata a seguire il filo della contemporaneità, ad abitare un’epoca nella quale l’uomo – dall’economia alla vita sociale, dalla tecnica alle domande sul futuro – in realtà sta chiedendo a gran voce di essere restituito a quella verità su se stesso che oggi, negata alla radice, è nelle mani di una cultura utilitarista e spietata.Il respiro della visita in Spagna è lo stesso dei viaggi in Inghilterra e in Francia, in Germania e in Repubblica Ceca: ovunque Papa Benedetto semina con dolcezza e tenacia parole franche per incoraggiare l’Europa a fidarsi di Dio, a non temerlo come «l’antagonista dell’uomo e il nemico della sua libertà», secondo il pregiudizio che dall’800 si è trascinato sino a quest’avvio di terzo millennio. Un’idea rivelatasi per quello che è: una «tragedia». Benedetto appare spinto, quasi dominato da un’urgenza, ed è quella che reca incisa nel suo stesso nome e nella conchiglia del pellegrino giacobeo dentro lo stemma: andare al cuore dell’Occidente, cogliere ogni occasione per fargli ricordare dove si origina la sua grandezza.«È necessario che Dio torni a risuonare gioiosamente sotto i cieli d’Europa», ha esclamato ieri sera, ed è una frase che può ben sintetizzare il suo magistero sulla dignità della ragione quand’è aperta alla fede. L’uomo europeo, ci ripete il Pontefice, deve sciogliere il laccio di un’ideologia nichilista che lo vuole asservito a ogni suo desiderio, promosso a diritto perché non sia riconoscibile per quella miseria che è; deve poter tornare ad assaporare la libertà a la bellezza di proferire «santamente» il nome di Dio «nella vita di ogni giorno, nel silenzio del lavoro, nell’amore fraterno e nelle difficoltà che gli anni portano con sé». Deve guardare con gratitudine e speranza alla Croce – «segno supremo dell’amore portato fino all’estremo, stella polare nella notte del tempo» –, l’aratro che ha reso fertile l’Europa consentendole di far germogliare una civiltà che onora ogni singolo uomo e non lo conta a dozzine. Il laicismo vorrebbe Dio invisibile, nascosto, un idoletto privato impresentabile sulla pubblica piazza. Ma lo sbandamento cui l’Occidente si va consegnando – come fosse approdato sull’oceano del nulla senza saper che fare – dovrebbe aprire la laicità all’ascolto di un Papa che con l’umiltà del pellegrino offre alle «grandi necessità, timori e speranze» dell’Europa l’apporto della Chiesa, ovvero una «realtà semplice e decisiva come questa: che Dio esiste e che è Lui che ci ha dato la vita. Solo Lui è assoluto, amore fedele e immutabile, meta infinita che traspare dietro tutti i beni, verità e bellezze meravigliose di questo mondo; meravigliose ma insufficienti per il cuore dell’uomo». La ragione incontra la fede, trovando le risposte che da sola non riuscirà mai a darsi davvero. Vale per tutto il mondo, ma è l’Europa la cattedrale di questa verità.
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