Una fila compatta, silenziosa, composta è sfilata per tre giorni nella Basilica di San Pietro davanti al feretro di Benedetto XVI. Più di 200mila persone, da decine di nazioni, in pratica da tutto il mondo. L’affetto e il numero con cui i fedeli si sono stretti al Papa emerito morto il 31 dicembre ha sorpreso molti osservatori. E' stato il tributo del popolo di Dio, della gente dalla fede appresa in famiglia, al catechismo, in parrocchia o nei movimenti e nei gruppi ecclesiali. La fede dei semplici, si potrebbe dire, quella che stava a cuore più di tutto al Pontefice teologo. Che ne parlava sempre, che cercava di alimentarla in tutti i modi con la sua azione pastorale, che lo spingeva ad essere chiaro e comprensibile da tutti anche quando scriveva e parlava di argomenti “difficili”.
E' stata, quella interminabile fiumara di persone, di tutte le età, le provenienze, le condizioni sociali, una sorta di "grazie" corale detto a papa Ratzinger, di riconoscimento non postumo ma anzi proiettato sul futuro, per lo zelo che il teologo, il vescovo (poi cardinale) e infine il successore di Pietro ha posto nell’annuncio del Vangelo, nel sostegno alla ragionevolezza del credere, nell’offrire a tutti la certezza che Cristo si può incontrare anche oggi per le strade del mondo e che il cristianesimo non è un’astratta dottrina, ma l’incontro con il Risorto.
Quella gente dai mille tratti somatici, Asia e Americhe che si fondono a volti europei e africani (si è vista persino una bandiera australiana sullo zainetto di una giovane coppia, continente che Benedetto XVI toccò nel viaggio più lungo del pontificato, per celebrarvi nel 2008 la Giornata mondiale della Gioventù), quella folla non di volti anonimi, ma di tante individualità fuse nell’abbraccio di una dimensione di famiglia, e di famiglia orante, l’ha capito forse prima e meglio di tante analisi dei dotti sul pontificato, sull’uomo Ratzinger, su questo su quell’aspetto del suo lavoro dottrinale.
Così per tre giorni il corridoio, delimitato nella navata centrale di San Pietro dalle barriere in legno, quel corridoio di solito riservato alla processione dei celebranti e dove tante volte era passato papa Ratzinger negli anni del suo pontificato, si è trasformato in un Sinodo vivente.
Cammino davvero fatto insieme. Tanti giovani, molti bambini mano nella mano con i genitori, uomini e donne di ogni età. Migliaia di persone che magari erano venute a Roma per qualche giorno di vacanza natalizia, eppure hanno sentito il bisogno di essere presenti. La scena è stata sempre affascinante per chi l’ha osservata da vicino in questi giorni, quasi ipnotica.
Una volta che ti catturava lo sguardo, staccarsene era davvero difficile. Anche perché si è ripetuta più 200mila volte uguale, eppure sempre diversa. Passi sincopati per seguire il lento andamento della fila, gli occhi fissi davanti a se, catturati da quella figura, distesa sul sobrio catafalco con i paramenti rossi e la mitria in testa, che appariva via via più grande man mano che i metri diminuiscono. E infine pochi secondi davanti alla salma di Benedetto XVI, giusto il tempo di un segno della croce e di un Requiem o magari, chissà di una richiesta di intercessione per bisogni piccoli e grandi. E poi via, per lasciare il posto ad altri.
Immaginiamo il sorriso paterno di Benedetto XVI, affacciato lassù – come egli disse di Giovanni Paolo II – alla finestra del cielo, con vista su Piazza San Pietro, da dove partiva la fila, e sull’interno della Basilica. E ancora una volta si può dire che ha avuto ragione il grande teologo e il fecondo pastore che è stato. La fede dei semplici, del popolo di Dio così caro anche a papa Francesco, spesso arriva prima. E certifica con il cuore, ciò che poi anche la mente deve inchinarsi a riconoscere.