giovedì 15 novembre 2012
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Gentile direttore, gli editoriali e gli approfondimenti ospitati negli ultimi due giorni portano efficacemente a galla ciò che da mesi naviga sotto traccia nei palazzi romani (ed europei). Nello specifico, il parere del Consiglio di Stato a riguardo del regolamento Imu per gli enti che svolgono attività non commerciale, rende ragione delle preoccupazioni che sin dal febbraio del 2012 segnalammo al presidente del Consiglio Mario Monti e che proprio per bocca dello stesso premier vennero riprese con parole di speranza per tutto il settore in Commissione Industria al Senato.Il non profit in Italia è una realtà che va molto oltre la pur vasta area dell’intervento sociale, assistenziale, educativo e caritativo della Chiesa cattolica e dell’associazionismo che ad essa si riferisce. Stiamo parlando di una realtà che raccoglie quasi 250.000 organizzazioni (ultimo dato ufficiale), 750.000 lavoratori e circa 5 milioni di persone coinvolte come volontari. Il valore economico di questa parte di società civile direttamente impegnata nel creare welfare e formazione è stimato in 67 miliardi di euro, il 4,3 per cento del nostro Pil. Il mondo delle cooperative e delle imprese sociali ha riferimenti ideali pluralistici, sedi, strutture e attività non certo confinate nei dintorni di sacrestie e oratori.Questo mondo è inseparabile dal tessuto sociale ed economico italiano, è parte integrante della sua ricchezza economica e umana e fa del nostro Paese forse un unicum nel panorama europeo. Non promuovere queste realtà con una politica fiscale sensibile alla loro peculiarità e al loro apporto al bene comune sarebbe miope. Per questo da mesi lavoriamo in stretto contatto con il governo perché tenga conto di questo fattore nelle sue pur necessarie politiche di rigore.Colpire queste realtà vuol dire colpire una possibilità di sviluppo. Impoverire il Terzo Settore vuol dire impoverire l’Italia nel suo complesso e, soprattutto, rendere più poveri i poveri che in queste realtà trovano concreto sostegno e aiuto. Lo abbiamo fatto promuovendo l’introduzione del 5x1000 ormai più di sei anni fa, chiedendo e ottenendo di non aumentare l’Iva per le cooperative sociali nella legge di stabilità.Queste sono le ragioni che ci hanno spinto a presentare l’emendamento al cosiddetto decreto enti territoriali, perché comprendesse nelle esenzioni dall’Imu gli enti non profit, compresi quelli che per le finalità della loro opera svolgono necessariamente attività definite 'commerciali' dalla legge (ad esempio le scuole paritarie o le cooperative di assistenza ai disabili che li coinvolgono in attività sportive) ma che non vengano svolte con modalità 'di mercato'. Il sistema attuale certamente non è esente da sbavature e potrà essere affinato, ma riteniamo vi sia lo spazio culturale in Italia e politico in Europa per portare avanti una battaglia.Siamo infatti coscienti delle potenziali sanzioni da parte della Commissione europea. Ma l’Unione Europea non è un’entità astratta che emana direttive indifferenti rispetto ai popoli che ne costituiscono il tessuto sociale, economico e politico. "Ce lo chiede l’Europa" è slogan facile quanto ambiguo e deresponsabilizzante. L’Europa siamo (anche) noi. A Bruxelles si tratta, ma soprattutto a Bruxelles si può e si deve spiegare che cosa sia il Terzo Settore per l’Italia, per la sua economia, per il suo welfare, per la convivenza civile. Favorirlo non è un privilegio ma significa restituire, in piccola parte, ciò che queste 250.000 cooperative, associazioni, fondazioni, onlus, ong e imprese sociali fanno risparmiare allo Stato.Pensare a una politica fiscale che valorizzi questo mondo, lo incentivi e lo incrementi non è solo un tributo di riconoscenza per quello che nella storia d’Italia hanno fatto, ad esempio, le cooperative di ogni colore e provenienza, ma un investimento per la crescita e lo sviluppo. Grazie per l’ospitalit.
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