sabato 22 settembre 2012
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​Che ai giovani oggi, non solo in Italia, manchi il lavoro è l’emergenza del giorno: anzi, «del secolo XXI», come acutamente nota Alessandro Benetton, oggi al vertice del gruppo, uno dei principali dell’imprenditoria italiana. Alla sua prima uscita «ufficiale» il giovane Alessandro ha il merito non solo di essersene accorto, ma anche di tentare di affrontare concretamente il problema bandendo un singolare concorso, intitolato «Il non impiegato dell’anno», aperto ai giovani fra i diciotto e i trent’anni che siano non solo genericamente disoccupati ma anche «non ricercatori, non avvocati, non attori, non politici». Insomma per la folla di quei giovani che si trovano nella triste condizione di non poter intraprendere la professione che amano, per la quale sentono di avere la passione, la preparazione e i talenti necessari.Attraverso la Fondazione Unhate, Benetton si impegna a premiare, con un finanziamento di cinquemila euro l’uno, i cento progetti più meritevoli presentati dai concorrenti. Facciamo i nostri migliori auguri a tutti i partecipanti, anche a quelli che non risulteranno vincitori. Perché questo concorso propone un’ottica interessante: guarda al merito, stimola e premia la creatività, il piacere e il coraggio di mettersi in gioco, di misurarsi con le sfide, di guardare, infine, dentro a se stessi. Tutte «virtù» di cui un Paese come il nostro, così demograficamente e mentalmente vecchio e angustiato da mille ferite, sociali, economiche, politiche, morali, ha un estremo bisogno. Una proposta come questa va a stanare là dove c’è (e di sicuro c’è) quel prezioso bagaglio di capacità e di sogni che stanno nel fondo dell’animo di tanti nostri giovani. Perfino, forse, anche dei famosi «Neet», quelli che – in una percentuale preoccupante specie nel nostro Paese – per stanchezza, delusione o simili, né studiano né lavorano: e proprio nella fascia d’età in cui avrebbero le maggiori energie per farlo al meglio dando alla società il contributo che nessun altro può dare.

Certo, lo ammette lo stesso Benetton, l’iniziativa non è che una goccia d’acqua di aiuto nell’oceano dell’imperante disoccupazione o mal-occupazione giovanile. Ma meglio una goccia che niente. Avesse poi solo il merito di mettere al centro dell’attenzione con dibattiti, proposte alternative e simili, un problema reale e dominante come questo, distinguendolo da mille altri che si vogliono far passare per tali, avrebbe già raggiunto uno scopo fondamentale. Perché, certo, i problemi sono tanti, ma non tutti hanno lo stesso rilievo: ci sono da tutelare i diritti di chi non si vuole o non si può sposare, ci sono da difendere i diritti di questo o quell’animale (bruchi, zanzare e moscerini compresi, di cui ancora non si occupa nessuno), eccetera. Tuttavia per chiunque abbia occhi per vedere, cuore per sentire e testa per distinguere, il problema della mancanza di lavoro e di prospettive di futuro dei giovani appartiene è assolutamente prioritario.

Se poi qualche collega imprenditore volesse mettersi a far concorrenza su questo piano, sarebbe il benvenuto; e se ispirasse buoni propositi analoghi a qualcuno dei politici che si apprestano a candidarsi alla guida del Paese, sarebbe tutto di guadagnato. Per tutti noi. Certo, in molti altri casi precedenti, le iniziative Benetton, che si caratterizzavano per la loro carica aggressiva e provocatoria, spesso ci hanno trovato dissenzienti, per buoni motivi che non staremo a ripetere. Stavolta no: la provocazione c’è, ci pare giusta e ci auguriamo che faccia il massimo rumore possibile. E sia come un sasso che finalmente cade in uno stagno fin qui troppo vuoto, troppo muto.

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