lunedì 3 febbraio 2014
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Era scomparsa dal tempo della deportazione degli ebrei in Babilonia, l’Arca dell’Alleanza. Ed ecco che il tempio di Gerusalemme, dopo cinque secoli, si riempie di nuovo della gloria del Signore. Ad annunciarlo è un vegliardo, il santo Simeone, che, mentre vede arrivare un bambino, riconosce il suo Dio: luce delle genti e gloria di Israele. A Simeone fa eco una donna, anziana, una che vive nella gioia della preghiera, come denunciano i significati simbolici del suo nome: Anna di Fanuele della tribù di Aser. Anche lei riconosce il bambino e canta la gloria dell’Altissimo.È questa l’icona evangelica per mezzo della quale la Chiesa, il 2 febbraio, ricorda la vita consacrata. Una giornata che giunge quest’anno alla diciottesima edizione. Per noi che viviamo, come Simeone e Anna, all’ombra del tempio, imparare a riconoscere le tracce del Mistero nel quotidiano è indispensabile. Accanto a una scelta totalitaria non di rinunciare all’amore, ma di viverlo nella radicalità di un rapporto fissato nell’eternità, abbiamo il dovere della compassione per l’uomo e per le sue ferite interiori. Come i poveri di Jahvè, di cui parla il Vangelo, non erano materialmente poveri, ma erano poveri di spirito, così la Chiesa  senza dimenticare le effettive povertà  ha bisogno di qualcuno che fissi lo sguardo su quelle estreme periferie dello spirito continuamente evocate da Papa Francesco. E se, come spesso si afferma, non è necessario consacrarsi per fare del bene, è però necessario consacrarsi per vedere "bene" il bene da fare. La castità – scriveva un grande testimone del secolo scorso, il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer – è la virtù dei pensieri alti e chiari. A chi accoglie i consigli evangelici è dato di vivere come Gesù nella costante tensione verso il regno di Dio. Essere consacrati significa rimanere nelle cose del Padre e quindi diventare per gli uomini del proprio tempo, non ripetitori stanchi di messaggi scontati, ma sentinelle coraggiose di quel Bene che non sempre a prima vista appare come tale. Fu così per Simeone, che prese fra le braccia un bambino e riconobbe Dio; sia così per noi: nel grigiore quotidiano si possa annunciare la Presenza del Bellissimo che non ci abbandona. Si possa davvero, come diceva Chagall, sbattere in faccia a questo secolo il guanto della bellezza per colpire l’uomo nelle sue nostalgie e obbligarlo a tornare ai misteri. La bellezza è per me la vita consacrata: i poveri saranno sempre con noi, ma non avvenga che, per causa nostra, non sia più con noi la certezza di una Presenza che illumina la vita e motiva la carità.
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