Il governo e i credenti capaci di essere lievito
mercoledì 28 settembre 2022

La giornata delle elezioni non è solo il punto di arrivo di un percorso, peraltro piuttosto raffazzonato e, per forza di cose improvvisato, ma direi soprattutto un punto di partenza. Inutile sia cantare vittoria che piangersi addosso, piuttosto bisogna fare i conti con la realtà di una democrazia che è e rimane solida, come ha avuto modo di sottolineare il premier uscente Mario Draghi. Il demos ci interpella e in particolare provoca i credenti presenti nei diversi schieramenti e in particolare nella compagine di chi sarà chiamato a governare, perché legittimamente ha vinto le elezioni.

Poiché in tutte le appartenenze politiche italiane sono presenti dei credenti cattolici, c’è da chiedersi quale sia il loro compito a partire dall’oggi delle scelte che la gente ha compiuto. In tal senso l’impegno politico dei cattolici non finisce, ma comincia il 25 settembre, all’interno della coalizione di appartenenza. Al punto in cui siamo mi sembra che dobbiamo interrogarci come cittadini credenti in politica ed eventualmente militanti nella coalizione che ha vinto sulla domanda dei contadini di Fontamara: che fare?

La presenza dei cattolici in una coalizione sta nella capacità di rappresentare valori e istanze che provengono dalla rivelazione e dalla tradizione in cui sono inseriti. Una volta che, ad esempio, viene insediato un governo sorretto da una maggioranza come quella che ha vinto le elezioni, il cattolico non solo eletto, ma anche di media fascia, si sente rassicurato circa il fatto che sarebbero (il condizionale è d’obbligo) salvaguardati i valori fondamentali della vita dal suo sorgere al suo compiersi e della famiglia come salvaguardia dell’alterità uomo-donna, il cattolico militante in tale compagine dovrebbe chiedersi cosa manca e al tempo stesso farsi carico di rappresentare le istanze di cui la destra è deficitaria nel suo stesso ambito.

La prima è l’istanza dell’accoglienza, con particolare riferimento alle migrazioni. Proprio ieri papa Francesco a Matera ha sottolineato che «Se alziamo adesso muri contro i fratelli e le sorelle, restiamo imprigionati nella solitudine e nella morte anche dopo […] Rinnoviamo l’impegno per edificare il futuro secondo il disegno di Dio: un futuro in cui ogni persona trovi il suo posto e sia rispettata; in cui i migranti, i rifugiati, gli sfollati e le vittime della tratta possano vivere in pace e con dignità […]. È anche grazie a questi fratelli e sorelle che le comunità possono crescere a livello sociale, economico, culturale e spirituale, e la condivisione di diverse tradizioni arricchisce il popolo di Dio. Impegniamoci tutti a costruire un futuro più inclusivo e fraterno. I migranti vanno accolti, accompagnati, promossi e integrati». Accogliere, accompagnare e integrare sono i verbi che il politico credente, a qualsiasi partito o coalizione appartenga, dovrà coniugare per continuare a essere sé stesso.

L’altra istanza è quella della transizione ecologica, che è stata esplicitata nell’incontro di Assisi sull’economia. Si tratta, e qui l’appello ai giovani è particolarmente coinvolgente, di lavorare nell’orizzonte di una economia amica della Terra. Essa è un organismo vivente, che in quanto tale viene ferito anche mortalmente da certe scelte orientate alla distruzione. Se l’istanza della transizione ecologica verrà fatta propria da chi è chiamata/o a governare la presenza del credere avrà una valenza sociale e politica di primo piano, diversamente, tutto sarà assoggettato alla logica del profitto. Chi frequenta la celebrazione eucaristica almeno domenicale ha nelle orecchie la preghiera che accompagna l’offerta del pane e del vino. 'Frutto della terra/vite e del lavoro dell’uomo'. Il lavoro/tecnica non può soppiantare violentemente la natura che va custodita e assecondata perché continui a donarci i suoi frutti, ai quali lavoriamo col nostro ingegno. Infine, si tratta di un’economia e politica amica della pace. Il credente dovrà comunque e, senza se e senza ma, essere operatore di pace e di giustizia ovunque si ritrovi collocato in parlamento o nella società civile, nella città o nel condominio, nel posto di lavoro o nell’attività ludica. La consapevolezza del compito non dovrebbe impaurire chi se lo ritrova addosso, ma al contrario consentirgli di rimanere sé stesso, nella sua identità cristiana e occidentale, mentre si accinge a ricevere compiti di governo e di gestione del Paese, della città o semplicemente del proprio parziale territorio. E non si tratta di salire sul carro del vincitore, operazione tanto anti-evangelica quanto squallida che dobbiamo energicamente ripudiare, ma di animare la vita politica alla luce della fede che ci salva. Si tratta piuttosto di essere 'lievito' nella pasta in cui si è coinvolti, in modo da non smarrire la proprie identità, senza cedere alla tentazione di affermarla attraverso crociate fondamentaliste.

Teologo, Pontificia Università Lateranense

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