Il diverso ruolo di madre e padre nel gioco di squadra educativo
mercoledì 8 marzo 2017

Gentile direttore,

vorrei esprimere il mio parere di madre su quanto ha scritto il pedagogista Daniele Novara nell’articolo «I ruoli in famiglia e l’argine da ritrovare» su “Avvenire” del 17 febbraio 2017. Sono madre di una figlia di 34 anni e di un figlio di 23 anni e conosco bene la fatica dell’educazione soprattutto in questi nostri tempi così difficili. Non condivido però quando, a un certo punto dell’articolo, il dottor Novara dà per scontata l’invadenza della madre sui figli, difendendo il ruolo del padre ritenuto più necessario... Credo invece che anche il padre in certi momenti non debba essere invadente e lasciare alla madre e al figlio/a i loro spazi, sapendosi anche “fare da parte”. Anche un padre che pretendesse di gestire e tenere sotto controllo i figli in adolescenza finirebbe per essere un pericolo per la loro crescita e la loro sanità psicoevolutiva. Per ambedue – padre e madre – è giusto non esserci sempre, ma esserci il giusto, con chiarezza e affidabilità come buona logica educativa suggerisce. Questo anche per sfatare il luogo comune che attribuisce alla madre la causa di tanti problemi dei figli: una grande ingiustizia, che alla fine entra in contraddizione con la realtà di tanti fatti dolorosi riguardanti i figli, perché sono più loro, le madri, che trovano il coraggio di denunciare il male che i figli commettono, per aiutarli. Un esempio recente è la madre del sedicenne di Lavagna. Per quanto riguarda il titolo, dove si parla di un argine solo, ho pensato che un fiume che scorre ben incanalato è sempre tra due argini, perciò... avrei titolato «I ruoli in famiglia e gli argini da ritrovare».

Annamaria P.

Il direttore mi offre la possibilità di risponderle, gentile signora Annamaria, e io sono lieto di farlo proprio oggi, 8 marzo, perché ciò che ho scritto non è una svalutazione della donna-madre, ma l’esatto contrario. Nel mio articolo ho ragionato su un fatto preciso: tutti i ragazzi e le ragazze hanno un necessario bisogno evolutivo di uscire dal nido dell’infanzia e dalla protezione materna. Allontanarsi dall’infanzia per gli adolescenti vuol dire pertanto staccarsi dal controllo e dall’accudimento della mamma. La misura di questa tensione può essere più o meno forte, ma appartiene in maniera irrinunciabile a questa specifica età. Non ci sono sconti. È un bisogno insopprimibile. Risulta pertanto difficile per la stessa mamma da cui il figlio vuole allontanarsi rappresentare un punto di riferimento riconosciuto. Il gioco di squadra nella coppia educativa prevede pertanto che questo bisogno di allontanamento sia gestito prevalentemente dal padre, che normalmente risulta meno ansioso della madre rispetto a questo stesso bisogno. È comprensibile che sia così: il padre non ha tenuto nella pancia per 9 mesi una creatura e quindi ha una maggiore capacità di distacco educativo. Se tale condivisione non avviene, il rischio è che i ragazzi siano “costretti” ad alzare l’asticella di provocazione e trasgressione per schiodarsi da una mamma che non molla l’accudimento verso il figlio vissuto ancora come il “tesoro” dell’infanzia piuttosto che come una persona in rapido cammino verso l’età adulta e verso la piena autonomia. Anche nel caso di assenza del padre, per ogni sorta di motivo, alla madre, rimasta da sola nel presidio educativo, non resta che assumere in toto un chiaro codice paterno di gestione dei figli adolescenti.

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