mercoledì 14 marzo 2012
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Quando si discute di banche, costi bancari, credito alle imprese o alle famiglie, sarebbe bene fare memoria di una lezione che deriva proprio dalla crisi nella quale siamo ancora immersi, ma che è andata dimenticata forse troppo in fretta. Tornando indietro di qualche anno è possibile vedere come molti dei problemi di oggi nascono da un comportamento preciso: le banche, anche per volontà politica, hanno concesso troppo credito, e a costi troppo bassi, proprio alle imprese e alle famiglie. È su questa distorsione iniziale del mercato che è stato possibile gonfiare la bolla immobiliare negli Stati Uniti e costruire quel gigantesco castello di carte dei mutui subprime, la cui caduta ha finito per precipitare l’Occidente nella peggiore crisi (finora) dagli anni Trenta del secolo scorso.Questo per dire che manovrare la leva del credito è operazione molto delicata: concedere un finanziamento può essere spesso più dannoso che non concederlo affatto. Allo stesso modo si potrebbe ricordare agli smemorati della finanza demagogica che quegli istituti bancari tanto elogiati in passato perché i loro costi erano da favola e i loro prestiti da primato, hanno poi dovuto essere salvati a uno a uno dagli Stati, impiegando migliaia di miliardi di euro di risorse pubbliche. Insomma, la banca che non costa nulla e regala soldi a tutti coloro che li chiedono non è mai un "segnale" positivo né rassicurante. Gli istituti di credito sono imprese, che come tutte le altre devono innanzitutto reggersi in piedi. Fuor di metafora: a nessuno verrebbe in mente di chiedere alla Fiat di vendere le auto a metà prezzo o a Marchionne di non provare nemmeno a realizzare un utile. Ciò detto, va riconosciuto che la situazione è profondamente mutata rispetto a qualche tempo fa. A causa della seconda fase recessiva in soli due anni, le imprese sono tornate a corto di liquidità e molte di loro faticano non solo a investire, ma persino a reggere il peso di un mercato sostanzialmente stagnante. È in questo scenario che la Banca centrale europea, guidata dall’italiano Mario Draghi, ha concesso da dicembre a oggi oltre mille miliardi di prestiti triennali a tassi da outlet (l’1%) alle banche europee.L’operazione è servita a ridare ossigeno e fiducia al sistema economico e finanziario. Con quei soldi gli istituti di credito hanno trovato il modo di sistemarsi i bilanci e rafforzare i patrimoni, investendo i soldi ricevuti in bond con rendimenti più alti e speculando persino sui derivati del petrolio. Manovre comprensibili, considerato che una banca sull’orlo del fallimento non serve a nessuno, ma solo fino a un certo punto. Proprio ieri Draghi ha ricordato agli istituti che i conti si possono sistemare anche risparmiando sui bonus ai manager o contenendo la distribuzione di dividendi agli azionisti. Una reprimenda evidente, che si traduce in un invito non formale a rimettersi – ora – a fare le banche, cioè a finanziare le famiglie e le imprese che lo meritano. Ecco il punto. Perché dopo quasi un lustro dallo scoppio della crisi è forse venuto il momento di tornare ciascuno a svolgere quello che dovrebbe essere il proprio ruolo. Erigendo il principio di responsabilità a faro della nuova rotta da seguire.Le banche – ma c’è banca e banca, ovviamente – si dimentichino della finanza speculativa che gonfiava bonus, cedole e parametri di redditività e riscoprano la capacità di valutare il merito di credito, diventando guida e sostegno reale per le imprese, ed evitando quelle forme di guadagno fatte di costi nascosti o commissioni indebite. Le aziende comprendano che il salto di qualità è anche accrescere le proprie dimensioni o creare salde alleanze, saper guardare a forme alternative di finanziamento, recuperare la correttezza di tutti gli adempimenti e gli obblighi morali verso il contesto in cui operano. La politica esca dal corto circuito del calcolato disimpegno e del facile populismo, adoperandosi per quelle riforme che possano rendere concretamente meno doloroso per le persone e le famiglie il tragitto che dovrebbe condurre al superamento della crisi. Perché ha poca ragione alzare a più riprese le tasse sulla benzina e poi chiedere alle banche di rinunciare alle commissioni sui pagamenti al distributore. O lasciare che lo Stato non saldi in tempi ragionevoli i suoi debiti con i fornitori e, poi, chiedere agli istituti di regalare il denaro allo sportello. Il senso di responsabilità presuppone uno sforzo diffuso a evitare le zuffe da cortile, recuperando la capacità di guardare, tutti, all’interesse generale e a quello che si chiama bene comune.
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