martedì 29 gennaio 2013
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Gentile direttore,
ho letto l’articolo del 3 gennaio a pagina 22 di Avvenire, dal titolo «La Pira e Allende contro l’odio». L’articolo mi lascia sorpreso e perplesso. Nulla da dire sul "grande" La Pira. Ma voler "associare" Allende a La Pira fin quasi ad "esaltarlo" mi sembra un’esagerazione. A parte i giudizi di La Pira, dettati dal momento contingente e con lo spirito ardente di vero cristiano, che non contesto, e in certo senso capisco, lasciandoli, comunque, al giudizio più sereno della storia, vorrei richiamare l’attenzione su fatti incontestabili. Se si condanna, com’è giusto, la dittatura di Pinochet, non possiamo, nel contempo, considerare Allende un "eroe", ricordando che era amico fraterno e connivente con certi discutibili personaggi della storia, di sicuro stampo comunista: Fidel Castro e Che Guevara. Tanti cattolici, mal interpretando il "socialismo" evangelico, si buttano a sinistra. Ma se ricordassero quello che è stato fatto dai comunisti, durante il regime comunista magiaro, al cardinal Mindszenty; e anche dopo la liberazione dell’Ungheria per la "ostpolitik" del cardinale Casaroli, darebbero, certamente, l’ormai famoso, "passo indietro". Attendo una risposta onesta sperando che prevalga sempre lo "splendor veritatis".
Vittorio Galatro
Nell’articolo di Michele Brancale pubblicato il 3 gennaio, gentile dottor Galatro, non c’è alcuna «esaltazione» dell’esperienza di Salvador Allende. C’è, piuttosto, un chiaro riferimento alla problematicità dell’esperienza «massimalista» di Unidad popular in Cile. Detto questo, che Giorgio La Pira abbia cercato di fermare – con le sue parole di pace – quel terribile settembre 1973 la macchina golpista è un fatto, così come è un fatto che, in precedenza, avesse cercato – con quelle stesse povere e splendide armi intellettuali – di convincere Fidel Castro e Salvador Allende (che non andavano poi molto d’accordo tra di loro, ma questa è un’altra e complessa storia...) a cambiare passo e metodi nelle rispettive azioni politiche e di governo.Comunque, quell’articolo nasce per dar conto del ricco carteggio tra La Pira e alcuni suoi interlocutori latino-americani. E in esso riconosco e volentieri correggo una sola imprecisione, cioè l’attribuzione ad Allende di «un consenso nel Paese che supera di poco il 50 per cento». In realtà nel 1970 le forze di sinistra raccolte in Up superavano di poco il 36 per cento contro il quasi 35 per cento della destra e il 28 per cento del centro (la Dc cilena, allora guidata da Radomiro Tomic per la non ricandidabilità del presidente uscente Eduardo Frei: lui, sì, esaltato da La Pira come leader di grande statura). Allende, candidato presidente, vincitore d’un soffio ma senza maggioranza, riuscì a farsi votare dal Parlamento solo firmando un atto solenne nel quale s’impegnava a non "manomettere" – rivoluzionandole in senso marxista – le istituzioni cilene. Purtroppo, poi, non andò così. E l’esperienza di Up fallì. Per i gravissimi errori politico-economici dei suoi capi – non ultime, appunto, alcune incredibili forzature dell’ordinamento costituzionale liberaldemocratico – che la resero sempre più precario governo di minoranza. E per intromissioni esterne non tutte egualmente note: assai raccontata quella pesante degli Usa, molto meno l’invadenza cubana, con gli auto-inviti e un lungo (e infine malsopportato alla Moneda) tour rivoluzionario in Cile del líder maximo dell’Avana. Fatto sta che la vicenda cilena imboccò una china disastrosa che portò, infine, al tragico golpe militare che per 16 anni sospese la lunga e, per tanti versi, straordinaria storia democratica del Cile. Una storia di libertà ricominciata in modo esemplare ormai da 23 anni abbondanti.
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