martedì 6 gennaio 2015
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​Vietato stupirsi e annunciare che è #finitalafesta. Sarà vero un giorno, ma quella di oggi è ancora l’Italia dei furbetti dalla memoria corta. Quella che apre le grandi strade in tutta fretta e magari le costruisce su terreni insidiati dalle frane. Una volta, la cialtronaggine nazionale era rappresentata dalle “incompiute”: acquedotti, stadi e, appunto, strade… I siciliani hanno dedicato addirittura un osservatorio a quest’inesauribile materia. Sono passati anni e abbiamo fatto dei passi in avanti. Non più piloni piantati nel vuoto: le strade vengono aperte, ma durano una decina di giorni. Ironia (amarissima) a parte, una costante di queste figuracce sembra essere la fortunata coincidenza che non si trasformano in tragedie. Sul piano erariale, però, il danno è enorme, come su quello politico: siamo un Paese in recessione e non possiamo aggrapparci alle ricette keynesiane perché le nostre opere pubbliche, quando troviamo i soldi per portarle a termine, finiscono nel ridicolo, come in questo caso, oppure in procura, com’è avvenuto per il Mose e la ricostruzione dell’Aquila. Se l’arteria che ha ceduto tra Agrigento e Palermo sia stata realizzata con materiali e tecniche adeguate lo sapremo solo a conclusione dell’inchiesta aperta a Termini Imerese: chi l’ha costruita oggi parla di “roto–traslazione” del terreno, lasciando intendere che siamo di fronte ad un evento eccezionale. Francamente, la nostra sensazione è invece quella di trovarci di fronte a un campanello d’allarme da non sottovalutare e che di eccezionale ci sia stata soltanto la fretta e le confidenze che troppo spesso ci si prende con un territorio che di eccezionale non ha nulla: i problemi di dissesto idrogeologico in questa regione sono noti da anni e sono talmente macroscopici che si vedono a occhio nudo dal satellite; una frana spazzò via mezza Agrigento nel 1966 e tuttora il costone nord del centro storico sta “scivolando” a valle, come ha denunciato la diocesi. Se proprio vogliamo trovare qualcosa di eccezionale, lo sono le parole dell’arcivescovo Montenegro, presto cardinale, pronunciate nel 2009: «Chiedo anche al Signore che non arrivi mai il momento di dovermi rifiutare di celebrare funerali “previsti” o “preannunciati”, perché quel giorno, se mai dovesse arrivare, il mio posto – da agrigentino – sarà tra la nostra gente a pregare».
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