Il buon diritto qui e ora di vittime e perseguitati e il giudizio divino
venerdì 30 aprile 2021

Caro direttore,

come sostengono e ben argomentano talune vittime, parenti e diretti interessati, come ad esempio il giornalista Mario Calabresi, orfano del commissario Calabresi, processi, sentenze e giustizia “tardiva” producono ingiustizia kafkiana e “burocratica”, che arriva dopo anni e quando tutto è cambiato. Viceversa nell’Alto dei cieli non esiste prescrizione, per chi non confonde i reati con i peccati. Ecco, per non spaccare-stancare ulteriormente un Paese già sfinito di suo con altro polverone vintage sul terrorismo rosso e nero e altri Cesare Battisti, farebbe piacere che il governo altrettanto si occupasse anche di Regeni, Zaki, Navalny, Wong, Kolesnikova, di Turchia che ripudia la Convenzione di Istanbul e nega il genocidio degli armeni, di uighuri e rohingya, di Ucraina, Taiwan e Libia, solo per fare qualche nome di persone-dossier qui e ora oggi sulla graticola. Perché se per un non credente può essere naturale e umano commettere qualcosa di nefando quando pensa di non essere visto (o scoperto), e se l’istinto non ben gestito eticamente tenderebbe a farci giudicare le persone (oltre alla fiducia sulle stesse) per un semplice episodio o sospetto o impressione-indizio, poi per fortuna c’è la legge, che non sempre è una mera perseveranza diabolica.

Fabio Morandin, Venezia


Sì, gentile e caro amico, la legge (come la sua applicazione) può e deve evitare di essere «errore» o – peggio, come lei scrive – «diabolica perseveranza». Più facile che accada quando essa, oltre a essere scritta nei codici, è ragionevolmente e profondamente incisa nel nostro cuore. Quando spinge, come lei suggerisce, Stati e organizzazioni e individui a difendere il buon diritto delle vittime e dei perseguitati. E quando ognuno fa la parte che gli spetta per fare i conti con la storia, con la comunità civile di appartenenza e – se crede – con Dio. Vale per tutti, e non è certo escluso chi, a suo tempo, scelse la strada della violenza terroristica. A proposito del finale giudizio divino che lei evoca in contrapposizione con l’imperfetto e spesso tardivo umano giudizio, le confesso che mi emoziona e incalza il pensiero (e, con il pensiero, il canto) del Dies irae, ma ogni giorno mi consola e mi tiene inquieto la consapevolezza evangelica che stiamo già “costruendo” il momento in cui saremo tutti giudicati su ciò che solo conta: l’amore. La misericordia di Dio è una cosa seria e, come il Papa ci ricorda costantemente, sovverte tanti nostri schemi e barriere, ma in nessun modo è dimenticanza e colpo di spugna.

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