lunedì 14 aprile 2014
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Caro direttore,è confortante per tanti, davvero per tanti, l’omelia di papa Francesco in Santa Marta sulla dittatura del pensiero unico. Ed è coraggiosa perché, al di là dei contenuti, oggi è sempre più difficile denunciare quella dittatura. Lo sanno tutti che in Italia e in Europa si accede e si fa carriera nel mondo della cultura, dell’arte e della comunicazione solo o comunque soprattutto se si è integrati nel pensiero dominante del cosiddetto "politicamente corretto". Che è espressione indicante pieno relativismo e assoluta evanescenza. Infatti, cosa è – in astratto – la "correttezza" se non è rapportata a valori morali o etici, culturali o sociali? Eppure questa cultura, mai ben esplicitata e ambigua, è il collettore degli egoismi individualistici che si nobilitano al rango di diritti, e pretendono di essere legalizzati. E disgraziatamente questa cultura d’impronta individualistica, che sgretola il tessuto sociale, trova orecchi attenti in una parte della magistratura. Al punto che ci troviamo di fatto una componente della magistratura che si autoproclama paladina di minoranze ma agisce secondo il pensiero dominante, sostituendosi al Parlamento. In questi giorni abbiamo avuto le sentenze sulle madri in affitto e sulla registrazione di un matrimonio gay all’estero, entrando a gamba tesa nel campo che compete al Parlamento. E in più la pronuncia della Corte costituzionale che ha aperto la porta alla fecondazione eterologa. Il "politicamente corretto" è decaduto a "politicamente corrotto", sia nel merito che nel metodo, esattamente come accadeva al dottor Jekyll che diventava mister Hyde.GianCarlo Salvoldi, Romagià deputato dei VerdiHa ragione, caro professor Salvoldi. Quella che Papa Francesco lo scorso 10 aprile ha definito l’«idolatria del pensiero unico» si manifesta ormai con grande ostentazione, con irridente sicurezza e persino con veemenza accusatrice nei confronti degli "infedeli". Che poi sarebbero tutti coloro che pensano e credono diversamente. I profeti di questa «idolatria» che ha permeato di sé l’economia, la cultura e la "mondanità" soprattutto (ma ormai non più solo) occidentale si riempiono spesso la bocca di una massima attribuita a Voltaire anche se, in realtà, frutto del genio (femminile) di una sua biografa inglese, Evelyn Beatrice Hall (in arte Stephen G. Tallentyre). Una massima molto bella, eretta a sintesi dell’idea stessa di tolleranza attiva e declinata in concordanti e generosi modi: «Non condivido il tuo pensiero, ma darei la vita perché tu lo possa esprimere», «Non approvo le tue scelte, ma sono serie e dentro la legge e io difendo il tuo diritto di compierle», «I tuoi valori non sono i miei, ma li rispetto»... Peccato che le "minoranze" alle quali ci si appassiona sotto questa bandiera di tolleranza siano, da tempo, sempre e solo quelle che accettano di far parte della "maggioranza" (vera o presunta) che si allinea al «pensiero dominante» e alle sue pratiche. Se ci sono minoranze che resistono alla corrente, non contano. E se ad andare controcorrente sono addirittura delle maggioranze, devono tacere e cambiare registro con le buone o con le cattive. Lei torna su esempi di lancinante attualità (le sentenze "creative" di alcuni magistrati di cui abbiamo ragionato qui anche ieri), io vorrei citare il caso dei medici che non intendono esercitare le pratiche abortive che, ormai da molti anni, sono depenalizzate anche nel nostro Paese. L’aspetto che mi continua a colpire di più del "culto" che si vorrebbe imporre a tutti nel nome di una "laicità" stravolta e resa più dogmatica di tante fedi religiose è infatti l’attacco a un fondamentale diritto di libertà come quello che su questioni specifiche e di grande rilevanza morale come l’aborto (cioè la soppressione di una vita) riconosce la possibilità dell’obiezione di coscienza. Trovo che sia la paradossale dimostrazione della illiberale carica di certo autoproclamato pensiero di libertà. È un male vero e forte. Ma questo non può indurci a rassegnazione. Né a risposte furiose. Il male si vince con il bene. Sta scritto. E Papa Francesco ce lo ricorda praticamente ogni giorno. Ci invita a dire dei "sì" non-idolatrici, a Dio e ai fratelli in umanità. Ci rammenta che possiamo riuscire a farlo con tutta la chiarezza e tutta l’amore che servono. Le "dittature" ideologiche si possono sconfiggere di vera libertà e di autentica responsabilità, con la coerenza disarmata della vita buona e delle testimonianze pubbliche e private, egualmente senza paura, che essa genera. Abbiamo visto, nell’ultima parte del Novecento, anche «rivoluzioni di velluto» smontare dittature che sembravano d’acciaio. Possiamo e dobbiamo lavorare perché una «rivoluzione della tenerezza» ci aiuti a cambiare presto lo sguardo, svelando il vero volto degli idoli egoisti del «pensiero unico».
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