I veri profeti amano il popolo e restano per sempre giovani
venerdì 19 marzo 2021

I profeti son fatti così, più passa il tempo più ringiovaniscono. Più la loro generazione va invecchiando e scomparendo, più brillano. Il vento del tempo soffia via la pula e lascia a terra il grano da macinare al mulino della storia. «Nessuno è profeta in patria», eppur si dice. Credo che 'patria' vada intesa in senso sia geografico sia cronologico. Gli uomini, che quando si lasciano guidare da Dio e dalla coscienza, sanno essere immensi, riescono, purtroppo, anche, a scendere negli abissi dell’abiezione. Tanti di essi, a dire il vero, si mantengono guardinghi, equidistanti. Quelli che, per dirla con l’Alighieri, «non furon ribelli. Né fur fedeli a Dio, ma per sé foro». Don Peppe Diana aveva fatto sue, invece, le parole di Elie Wiesel: «Ho giurato di non stare mai in silenzio ... Dobbiamo schierarci. La neutralità favorisce l’oppressore, mai la vittima. Il silenzio aiuta il carnefice, mai il torturato ». Il profeta a tanti sembra essere solo un illuso sognatore, che magari mette a repentaglio la sua vita e quella degli altri. A qualcuno appare un rompiscatole, uno che smuove le acque senza che ce ne sia bisogno. Può accadere, allora, e di fatto accade, che la viltà venga contrabbandata con la prudenza, l’avarizia con la parsimonia, la pigrizia con la riflessione. Ma c’è sempre chi gli si mette accanto per imparare, sostenerlo e camminare insieme. Il profeta vede oltre, e si sforza di indicare la strada anche a chi in quel momento non vede o fa finta di non vedere. Sovente si sente incompreso, ma, pur volendo, non potrebbe tornare indietro; sarebbe come rinnegare se stesso, la sua vocazione, la sua missione.

Don Peppe Diana è stato un profeta? Senza dubbio. Una lampada che più passa il tempo più illumina. Man mano che ci allontaniamo da quel 19 marzo del 1994, giorno di san Giuseppe e del suo onomastico, in cui lo uccisero per la sua fede, la sua speranza e la sua carità, la figura di questo prete si staglia sempre più maestosa nel firmamento della Chiesa e della società civile. Non ha la testa fra le nuvole, il profeta, al contrario, è una persona pienamente inserita nel suo tempo, che avverte tutte le tentazioni cui sono sottoposti gli amici; un uomo di pace che vive nella pace eppure con l’animo sempre inquieto e tormentato. Don Peppino sente fortemente che essere nato e fare il parroco a Casal di Principe, lo stesso paese in cui tanti suoi vecchi amici e conoscenti erano confluiti in quella orribile, diabolica 'cosa' conosciuta come camorra, non può non segnarlo. Nell’Agro Aversano e in tutta la Campania nei primi anni 80 del secolo scorso, la guerra tra le varie associazioni di camorra si combatteva per le strade, a tutte le ore del giorno e della notte, con una ferocia spaventosa. Bardellino, Cutolo, Nuvoletta; Nuova camorra organizzata, Nuova famiglia; alleanze, tradimenti, soldi; sangue, morte, terrore, schiavitù. Funerali. Tanti, tanti funerali. Le chiese troppo spesso bardate a lutto. Che deve fare un prete? Limitarsi a benedire le salme degli uccisi e a dire parole di conforto ai familiari che già stanno pensando alla vendetta? Erano anni di fuoco, quelli. Se è vero «che il coraggio uno non se lo può dare», per dirla col don Abbondio di Manzoni, è altrettanto vero che a chi ce l’ha nessuno lo può togliere. E don Peppino di coraggio ne aveva da vendere. Denunciò. Predicò con evangelica parresia. Fu discepolo e maestro, testimone e amico. Fu ucciso. E non una volta sola. I colpi esplosi dal killer quella mattina continuarono a rintronare anche nei mesi seguenti. Dopo la sua morte fisica, mamma Iolanda, papà Gennaro, fratelli, amici e confratelli dovettero piangere ai funerali che le calunnie sul suo conto, artatamente confezionate, andavano organizzando. La più pericolosamente ridicola e grottesca fu quella di fare di don Peppino... un camorrista. Il prete che «per amore del suo popolo» non aveva taciuto, ben sapendo che quel suo parlare gli sarebbe costato la vita, divenne, per certa carta stampata al soldo della camorra, un camorrista. A questa calunnia obbrobriosa e grottesca non credeva nessuno, ma ai pavidi interessati e alla camorra organizzata, permetteva gettare fango velenoso su don Diana, sul suo martirio e sulla Chiesa di Aversa. Ma la verità non tardò a venire a galla.

Il sentiero tracciato dal profeta è diventato un’autostrada sulla quale tanti, credenti e no, camminano spediti. Sono passati 27 anni da quella mattina. Parrocchia San Nicola, un giovane prete sta indossando i sacri paramenti per la Messa di san Giuseppe, non sa, non può sapere, che andrà a celebrarla in paradiso. Sarà, anche quest’anno, monsignor Angelo Spinillo, insieme a noi, suoi vecchi e nuovi confratelli, a salire, alla stessa ora del suo martirio, l’Altare benedetto di don Peppino Diana.

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