mercoledì 10 giugno 2015
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Gentile direttore,
sono un milanese che ha passato i 70 anni da un po’. Ho sempre avuto interesse alla politica e alle tematiche sociali, culturali e religiose a partire dai 13 anni. Mi sono sempre adoperato per incoraggiare tanti sfiduciati nell’impegno civile a partire dal dovere di votare. Ma ora sono costretto a dire: non vado a votare nemmeno io. Ho sentito con piacere qualche analisi in radio in cui si sosteneva che l’astensionismo attuale non è un "menefreghismo", ma è una risposta scelta e voluta per dire chiaramente: non siamo contenti, non c’è un’offerta corrispondente ai nostri desideri. È inutile che il Pd cerchi di crogiolarsi nelle sue "vittorie". Qui siamo di fronte a qualcosa di molto più preoccupante: stiamo emarginando il popolo dalla vita pubblica. So, direttore, delle sue posizioni, che sostiene sul nostro giornale invitando a una partecipazione consapevole. Sento e comprendo lo sforzo del cardinal Bagnasco per richiamare ognuno ai suoi doveri. Ho sempre detto le stesse cose anch’io, ma ora non mi sento più di ripeterle. Non ci sono le condizioni. Come cristiano non posso nemmeno prendere in considerazione posizioni come quelle della Lega (negazione pratica e totale del Vangelo). Non posso promuovere Forza Italia che fa ancora perno su un uomo squalificato nella vita privata e in quella pubblica e non ha una scelta chiara e sicura sui valori che mi interessano maggiormente. Non posso condividere i programmi del Pd e delle formazioni alla sua sinistra che prevedono (e portano avanti) anche posizioni distruttive del vivere civile e dei valori cristiani (basti vedere temi quali bioetica, famiglia, divorzio, unioni civili, omofobia ecc.). I partiti minori, anche benintenzionati, non sono in grado di condizionare gli altri. Io credo che la prova dei fatti sta dimostrando che l’obiettivo di formare in Italia due schieramenti (destra e sinistra) sia un fallimento. Gli Italiani non entreranno mai nella disciplina di un partito che vuol contenere tutto e il contrario di tutto. Gli italiani sono troppo geniali, creativi, insofferenti degli schemi copiati da altri: bisogna lasciarli esprimere con libertà. Ne è prova il "fallimento" del Pd che trova la sua maggior contestazione al suo interno, mentre continua a vantarsi di essere un partito inclusivo che vuol comporre diverse estrazioni ideologiche ed estromette, in un modo o nell’altro, chi non si adegua alla linea del segretario-premier.
Si è detto che non occorre un partito "confessionale", ma occorre che i cattolici, presenti in diversi partiti, si ritrovino sulle stesse posizioni a riguardo di valori etici, civili, democratici: sta di fatto che i cattolici nelle votazioni in Parlamento non esistono più, non succede quasi mai che votino insieme tra loro a prescindere dai loro partiti, coinvolgendo e motivando con i loro argomenti eletti di altro orientamento culturale. Ciò vuol dire che non occorre un partito confessionale (ma neanche la Dc lo era...), bensì un partito a forti idealità umane e cristiane. Ma stando così le cose, se dovessi votare oggi, non potrei che astenermi perché qualunque scelta favorirebbe una politica contraria ai valori che io voglio promuovere.
E. C., Milano
Ho letto con vera simpatia e, mi creda, caro amico, con un buon grado di immedesimazione questa lettera. E le dico subito che non intendo controbattere la sua analisi sui "perché" della repulsione-astensione da questa politica di cittadini come lei, che è davvero difficile non considerare motivati e appassionati. Mi rendo conto da anni, sulla mia pelle e nello "scambio di opinioni" quotidiano con i lettori (dedico almeno due ore al giorno alle vostre lettere), dell’insofferenza crescente non solo e non tanto per l’imperfezione di una proposta politica o per l’inadeguatezza organizzativa di questo o quel partito (accidenti per così dire inevitabili, parte di ogni storia democratica), quanto piuttosto per la irresponsabilità, il cinismo e l’ambiguità di molte – comunque troppe – delle persone che quelle proposte e quelle forme partito incarnano. So che il mio giudizio non è meno duro del suo. Eppure sono e resto un cittadino che non concepisce l’astensione nel voto per il Parlamento e il Governo del proprio Paese. Per questo, persino in modo donchisciottesco, negli ultimi due decenni mi sono speso come ho potuto per il recupero di una piena possibilità per gli italiani di dire la loro nella scelta dei propri rappresentanti. Quel "potere" del cittadino-elettore che ci è stato scippato vergognosamente e che può essere regolato in diversi modi, ma che non deve essere svuotato. La politica è, infatti, vera e buona e resta attraente solo se c’è una relazione seria e forte tra gli eletti e chi li vota. Voglio dire che la buona politica non ricomincerà dalle "case" esistenti o da altre vagheggiate, ma dalle persone che quelle "case" di partito e di schieramento abiteranno e interpreteranno. Soprattutto se lo faranno in maniera impegnata ma mai "proprietaria", cioè non sentendosene i padroni e non spingendo fuori casa i non perfettamente allineati. Per ora mi fermo qui. E la ringrazio per la preziosa franchezza.
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