mercoledì 20 luglio 2011
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Abituati come siamo al mugugno, ma rassegnati ad accettare le decisioni del Palazzo, metabolizzeremo in fretta anche la misura dolorosa e impopolare dei ticket aggiuntivi sulle prestazioni sanitarie. La mazzata peserà, e peserà di più su chi ha meno, salvo che altre Regioni (tutte?) non si aggiungano a quelle che hanno deciso di non torchiare ulteriormente i cittadini o di temporeggiare. Con il rischio, però, che al mancato introito dei nuovi balzelli supplisca un aumento delle addizionali, giusto per far quadrare i conti. La tormentata vicenda dei ticket – strumento che ha cancellato fin quasi dall’inizio il principio della gratuità del servizio sanitario nazionale come concepito negli anni Settanta e avviato nel 1980 – merita però anche qualche riflessione che esca dai condizionamenti dell’emotività e dell’ideologia. Non perché sia giusto pagare di più, dato il livello della pressione fiscale e dato anche – sia consentito dirlo – il livello qualitativo di certe prestazioni, almeno in determinate aree del Paese. Non perché le famiglie debbano essere maggiormente tartassate. Non perché i più poveri debbano avere remore ad accedere a un pronto soccorso in caso di necessità. Non si tratta di questo, ma solo di guardare in faccia la realtà. Una certa realtà. Se uno straniero transitasse davanti a un qualunque laboratorio medico sarebbe indotto a pensare che l’Italia sia un Paese di malati. Uomini, donne, ragazzi e bambini prendono il numerino, fanno la fila per un prelievo, portano boccette di reperti biologici, fanno passare il loro sangue ai raggi X (si fa per dire) di dozzine e dozzine di analisi. Alla ricerca di cosa non si sa bene, perché è inconcepibile che tutti quei pazienti di ogni età che affollano la sala d’attesa e a volte premono dalla strada siano davvero affetti da qualche seria patologia, o siano soggetti a rischio. Altrimenti lo straniero si porrebbe domande sulla possibilità di effettiva conciliazione di condizioni patologiche così generalizzate con un aumento dell’aspettativa di vita che trova rari riscontri nel mondo occidentale. Ma che c’entra! Se Umberto I diceva che un sigaro e una croce di cavaliere non si negano a nessuno, oggi nessun medico negherebbe una sfilza di esami a chicchessia. C’è da pagare? Per la salute si farebbe qualunque sacrificio. La corsa al laboratorio di analisi ha naturalmente molti padri. La case farmaceutiche, per motivi di business , hanno buon gioco a far abbassare di tanto in tanto determinati parametri, per cui se mezzo secolo fa valeva per la pressione sistolica il dato 100 più gli anni d’età, oggi se uno supera appena i 140 viene imbottito di antipertensivi. Nel segno della prevenzione, ovviamente, il feticcio di una medicina che come ammettono sottovoce gli operatori più accorti «ti costringe a vivere da malato nell’illusione di morire poi da sano». I medici di base non lesinano prescrizioni di esami per non scontentare il paziente­insistente e per cautelarsi. Difficile da cancellare è l’impressione che tra alcuni medici sia venuta meno la capacità di formulare una diagnosi di fronte a un caso meno che banale, e la conseguenza è l’invio allo specialista del malato o presunto tale, previa prescrizione della solita serie di esami. Ticket nell’uno e nell’altro caso. Infine lo specialista richiederà esami di altro tipo. Le misure varate la scorsa settimana sono onerosissime, inique ragionando nell’ottica delle famiglie di condizione economica modesta ma troppo «ricche» per rientrare nella fascia dell’esenzione. Il ticket era nato all’inizio come moderatore rispetto al ricorso eccessivo e immotivato ad un sistema del tutto gratuito. In tempi di vacche magre l’ideale sarebbe riportare d’attualità quel principio: il balzello induca a chiedere meno esami superflui l’ipocondriaco che ogni tre mesi fa fare il tagliando al proprio sangue come fa con il Suv che tiene in garage, ma per favore la nuova gabella non tartassi chi ha davvero necessità di accertamenti, diagnosi, cure. Se si mettesse radicalmente mano al capitolo delle patologie esenti o delle esenzioni per reddito i bilanci della sanità non salterebbero. Perché non siamo un Paese di malati.
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