venerdì 13 marzo 2009
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Metti un venerdì sera d’inverno in provincia, in una piccola città dove tutti ci si conosce, e i più irrequieti si annoiano. Un venerdì, e il giorno non è un caso, giacché nella cultura del weekend il venerdì sera è l’inizio della festa, cui si arriva come costretti, e talvolta coatti, d’ansia di divertirsi dopo una settimana di lavoro. Dunque, quel venerdì in una piazza del centro di Pordenone ci sono tre tipi, dirà poi la polizia, che « non sapevano cosa fare » . Cinema no, sala giochi basta, il bar, che noia. Che facciamo allora, si domandano, ansiosi di non sprecare la serata. « Andiamo a dare una lezione ai froci del Bronx » , lancia uno. Vanno. Il Bronx di Pordenone non è esattamente quello di New York, ma i tre si accontentano di quell’espressione, « dare una lezione » , che riempie la bocca e eccita le mani. « Gli diamo una lezione, dài » , e s’avviano in giro, sulle orme di una preda. La preda, quella notte, è un giovane omosessuale che già una volta era stato picchiato da un amico, picchiato tanto che è finito in coma e ne è uscito cieco e mentalmente danneggiato. Gay, e disabile: quasi un doppio bersaglio. La vittima ideale. Non è un incontro casuale: secondo la polizia, lo sono andati a cercare per la città. Facile caccia: la preda nemmeno pensava di scappare. L’han trovato, circondato, e giù botte. Tante: il gusto feroce di dare, a chi non è come noi, una « lezione » . Scappano poi, e la gente in piazza li lascia scappare. Il ragazzo alla polizia balbetta che non sa perché l’hanno aggredito. Infatti, non c’è una ragione. C’è solo, dietro la storia ignobile di Pordenone, lo stesso nulla gonfio e sfatto dell’aggressione a un clochard di Rimini dato alle fiamme, e di quell’altro straniero bruciato, vicino a Roma, per gioco. L’essenziale è che la vittima sia individuabile come altro dai « normali » . È la teoria, ben nota agli antropologi, del « capro espiatorio» . La frustrazione e la noia di un gruppo che inventa un nemico, perché ne ha fisiologicamente bisogno. Occorre qualcuno cui « farla pagare » , borbottano i manipoli di vendicatori del nulla di Pordenone o Rimini. « Fare pagare » , cosa? I vendicatori sono ben vestiti, hanno in tasca il cellulare e soldi, a Rimini erano operai o studenti benestanti; e in tv spesso arriva una mamma che giura che suo figlio è un bravo ragazzo, che, certo, in quella brutta storia ce lo hanno trascinato. Non saprebbero nemmeno, questi vendicatori miserabili, spiegare « di che » volevano punire la vittima. Se fossero sinceri, potrebbero solo dire di una confusa rabbia, di un oscuro rancore, di una mortifera noia. Poi, sopra, a questo personale nulla interiore appiccicano gli immigrati, o i gay, o i disperati che dormono sotto al cielo. L’essenziale è che il capro espiatorio sia « diverso » , e in quel momento indifeso. Non è uno scontro fra pari, la spedizione del branco; è l’infierire su un debole che si vuole annullare. Per quale colpa? « I clochard sono sporchi, i rom ladri, i gay diversi » , direbbero i vendicatori con povere e ignoranti parole. In fondo al cuore, una voragine. Niente che stia veramente a cuore, nulla in cui credere, niente per cui lottare; fame, mai vista, soldi, quanto basta; e allora nel giorno della ' festa' monta una voglia sordida di compensare quella mole opprimente di noia. E ci si immagina un Bronx, e ci si inventa un nemico, e meglio se è disabile, lo si picchierà più volentieri. « Gliela facciamo pagare » . Cosa? Quel nulla bestiale addosso. Quel male che non può essere roba nostra, ma, certo, è colpa di un altro. ( È la cognizione del male proprio, personale, ciò che manca drammaticamente, in questa Italia liberata dalla memoria del peccato).
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