sabato 4 ottobre 2014
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A Lipsia un fratello e una sorella si amano da 14 anni e hanno 4 figli. Poiché in Germania c’è una legge che dichiara «criminale» l’incesto, chiedono che questa legge, «vecchia di cento anni», venga abolita. Da qui parte una discussione che invade Germania, Belgio, Olanda e Francia. Il problema vien posto così: che cosa deve aver più valore per l’umanità, l’amore o la legge? E poniamo pure che la Natura rifiuti l’incesto, aumentando tra i nati d’incesto i casi di bambini malati e malformati (anche stavolta: due dei quattro figli di questi due fratelli-amanti sono disabili), cosa deve fare l’umanità, rispettare la volontà della Natura o rispettare la volontà dell’uomo, se necessario contrastando e cambiando la Natura?I due fratelli sminuiscono il problema, facendolo derivare da una legge «vecchia di cento anni». Solo cento? Il tabù dell’incesto è molto più antico. Nella Evoluzione delle specie Darwin lo colloca nel neolitico, l’età dei primi villaggi e dell’agricoltura. Avevano osservato, gli uomini, che finché l’amore era libero, e i fratelli potevano amare le sorelle e i figli la madre, e viceversa, la conseguenza era che non nascevano le famiglie e non nascevano i villaggi, ma la società si disgregava. Fu dunque per un interesse sociale, di tutti, che fu introdotto il tabù dell’incesto. Se l’introduzione di questo tabù ha protetto l’interesse dell’umanità, oggi – proponeva nel secolo scorso Alberto Moravia – bisogna introdurre un altro tabù, per la salvezza dell’umanità: il tabù della guerra. Esiste l’arma atomica, e finché la guerra non è un tabù l’umanità rischia di scomparire. Solo il nuovo tabù può salvarla.Come garanzia della famiglia e dei villaggi, il tabù dell’incesto ha avuto un grande potere nel pensiero antico. Chi lo víola, lo fa senza saperlo. Quando Edipo diventa re di Tebe, la città vien colpita dalla peste, e lui va a chiedere perché alla Pizia. Il mito ha diverse elaborazioni, l’ultima è quella di Pier Paolo Pasolini, nel libro e nel film intitolati Édipo Re. Edipo chiede alla Pizia: «Perché gli dèi sono così sdegnati contro la mia città? Chi c’è, nella mia città, sgradito agli dèi?». «Ma sei tu, Edipo – risponde la sacerdotessa –, tu, assassino di tuo padre e sposo di tua madre». Edipo è fulminato dalle due rivelazioni: hai ucciso tuo padre e hai sposato tua madre. Non conosceva né la prima colpa né la seconda. Sì, aveva ucciso un uomo, ma perché gli era passato col cocchio sopra un piede. Aveva sposato la regina, ma come premio per aver liberato la città dalla Sfinge. Non conosceva quell’uomo e non conosceva questa regina. Ma il paganesimo non è il cristianesimo: per commettere peccato non è necessario averne coscienza. È chiaro che una vita, in cui per peccare non occorre averne coscienza, non è vivibile. E infatti nell’Edipo a Colono il vecchio re, cieco e ramingo, viene verso la platea pronunciando queste parole, terribili e inaccettabili per noi cristiani: «La sorte migliore per l’uomo è non nascere. Ma, se ormai è nato, la sorte migliore è morire subito».Udite le due colpe, il parricidio e l’incesto, Edipo vorrebbe contestarle, ma la sacerdotessa gli dà un ordine: «Vattene subito, non suscitare con la tua presenza la collera degli dèi». E qui entriamo nella parte tragica e oscura del mito: come si espia la colpa. Edipo solleva le mani a coppa, pianta le dita dietro gli occhi, li cava e li butta via. Il mito classico espone l’accecamento in altro modo, ma l’importante è questo: incesto e cecità vanno insieme. Quando leggiamo: «Un padre commette incesto con la figlioletta», il nostro pensiero è: «È cieco, non l’ha riconosciuta». La tesi di quanti sostengono la libertà d’incesto in nome della "felicità umana" urta (pare a me, ma non parlo a nome d’altri) contro la quota d’infelicità che s’introduce nei figli nati da incesto: qui sono due su quattro. Perciò non sono d’accordo sulla cancellazione di questo tabù. Sarei d’accordo sull’introduzione anche dell’altro, il tabù della guerra.
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