venerdì 20 febbraio 2015
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La settimana scorsa era toccato a un cimitero ebraico in un piccolo villaggio dell’Alsazia. Si era pensato a un altro riaffacciarsi del vento antisemita, che da anni va riaffiorando in occidente – come un virus maligno che si credeva debellato, e invece ricompare e si diffonde e contagia. Due giorni fa però è stato un cimitero cattolico a Calvados, un paesino nel nord ovest della Francia, a mostrare una mattina le lapidi divelte o infrante a picconate. Qualcuno si era divertito, nella notte, a vibrare mazzate sui marmi, sulle foto dei morti, sui nomi incisi nella pietra.Quanto al cimitero ebraico di Sarre-Union, si è appreso poi, lo scempio non è stato opera di neonazisti, ma di un gruppo di quindicenni senza appartenenze politiche. «Non sapevamo nemmeno che quel cimitero fosse ebraico», hanno confessato. La noia di una provincia benestante, e magari l’aria che si respira in una zona in cui il Front National è al 40%, hanno creato il terreno di coltura in cui in quattro o cinque hanno pensato, una notte, di profanare tombe. Così. Per gioco.E forse anche a Calvados non di un odio integralista si tratta, ma di un "gioco". Ma sono "giochi" strani questi, e oscuri. Perché, se affacciarsi a un cimitero può essere forse ancora la bravata di una banda di ragazzi in una notte di alcool e di noia, quei colpi di piccone sulle tombe, forti tanto da spaccare i sepolcri, no. Bisogna avere molta rabbia dentro, a quindici anni, per mandare in frantumi a mazzate le dimore di sconosciuti morti, sepolti, spesso, molti anni prima che quei ragazzi nascessero.Rabbia per cosa, e contro chi? Probabilmente gli adolescenti di Sarre-Union saprebbero rispondere.Riporta, questo accanimento vandalico, naturalmente fatte le debite proporzioni, a un drammatico episodio della Rivoluzione francese: quando la basilica di Saint-Denis, antica meraviglia gotica e luogo di sepoltura dei re di Francia, venne invasa da un popolo inferocito che, a mazze, a picconi, mandò in frantumi i candidi volti e corpi di marmo di re e regine, e scoperchiò i sepolcri. La furia profanatrice di Saint-Denis però esplose all’interno di una rivoluzione epocale, di una ribellione radicale al sistema che aveva retto un mondo, ormai divelto. Gli adolescenti di quel paese alsaziano invece, e forse anche gli ancora sconosciuti vandali di Calvados, nulla hanno di quest’aura epica e tragica, attorno. A Sarre-Union, almeno, non sanno dire neanche un perché.Ma questo non dovrebbe tranquillizzarci. È così universalmente tramandato tra noi il principio della pietà per i morti, è tanto antico questo tacito patto, che il vederlo violato, e senza una ragione, turba. Come un segnale profondo e tellurico, difficilmente decifrabile, come il sintomo di una ignota malattia. Queste storie di sepolcri violati mi fanno pensare a una intervista a Mario Luzi, già molto anziano, la fronte cinta di capelli candidi. Luzi parlava di una sua poesia, "Padre dei padri", che alludeva a un legame spezzato, a un testimone non passato da questa generazione ai suoi figli. «Quali erano quei numinosi patti?/ Ne portano essi solo l’ombra/ e il cruccio di un tradimento...», recitavano quei versi. Patti silenziosamente spezzati, tra padri e figli, patti annichiliti nella dimenticanza o nel rumore. Profanare a bastonate le tombe di uomini nati e vissuti tanto tempo prima, ignoti. Senza nemmeno, attorno, l’aura sanguinosa di una rivoluzione. Senza sapere perché, ma con qualcosa di indicibile addosso – come una inconscia rabbia di figli traditi.
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