venerdì 21 ottobre 2011
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La fine di Muammar Gheddafi avrà conseguenze soprattutto interne: permetterà di eliminare in tempi probabilmente brevi le sacche di resistenza dei cosiddetti "lealisti", che ora perdono un punto di riferimento ideale e qualunque prospettiva (semmai l’avessero davvero coltivata) di trovare una via d’uscita concordata per la loro disperata lotta armata. La scomparsa dell’ex rais potrebbe, d’altro canto, costringere le tribù che ne hanno appoggiato la ultraquarantennale dittatura a cercare una mediazione con il Consiglio nazionale transitorio e con le forze che lo sostengono. Starà propri ai vertici del Cnt sfruttare questo evento come un segnale di cessato pericolo, di consolidamento del governo provvisorio e di presa d’atto che comunque la Libia rimane un Paese almeno parzialmente spaccato tra le sue tre regioni (Cirenaica, Fezzan, Tripolitania; l’ultima non così vicina alle ragioni della rivoluzione) e le sue cento tribù. Questa deve essere, cioè, l’occasione per offrire una pace che implichi la reintegrazione del maggior numero possibile di attori nella vita politica della nuova Libia, partendo dalla consapevolezza che la scomparsa del Colonnello scioglie i capi tribù dal dovere di lealtà nei suoi confronti senza che il loro onore ne risulti macchiato e non lo trasferisce automaticamente su nessun altro.La rete di legami che Gheddafi era riuscito a tessere con le tribù si sostanziava di relazioni personali con i loro capi ed è stata questa vera ragnatela a consentirgli di smantellare progressivamente le istituzioni dello Stato libico. Le quali dovranno essere ora ricostruite per potere, un giorno, rimpiazzare i legami personali con quelli istituzionali, la lealtà nei confronti del rais con quella verso lo Stato.In termini di implicazioni sul quadro regionale, non dobbiamo invece aspettarci conseguenze rilevanti. L’influenza di Tripoli sui Paesi vicini è sempre stata bassa: con Gheddafi al potere, alla macchia o morto. Era il grande cruccio del Colonnello, che le ha provate tutte, ma proprio tutte, per cercare di cambiare questa realtà: dalle improbabili unioni con i vicini (una volta, con il Marocco, si dimenticò persino di avvisare preventivamente il re di Rabat delle sue intenzioni), con il terrorismo e con il finanziamento a decine di gruppi "rivoluzionari" (forse anche italiani).L’effetto internazionale quasi sicuro, e probabilmente immediato, della sua morte sarà la fine delle operazioni militari del Nato e il ritiro delle forze alleate. Sempre che qualcuno non sia così folle da pensare di voler lasciare un contingente di "consiglieri militari" o "istruttori" o "mentori".Una simile mossa sarebbe in grado non solo di rialimentare le forze già "lealiste", ma anche di riaprire lo spazio politico alle formazioni terroristiche di ispirazione qaedista. In ogni caso, ora che il Colonnello non potrà più tornare e neppure rilasciare qualche imbarazzante dichiarazione, la lotta tra i Paesi della coalizione per chiudere nuovi vantaggiosi contratti economici si farà ancora più serrata. Anzi, la vera partita, in questo senso, comincia proprio ora.A bocce ferme, dal punto di vista politico, occorrerà comunque fermarsi a riflettere sulla modalità con cui un intervento umanitario dallo scopo inizialmente limitato (impedire il massacro dei ribelli) si sia trasformata in un’operazione volta al cosiddetto regime-change (cambio di regime), oltretutto a guida anglo-francese e non americana. Questo ultimo aspetto è tutt’altro che marginale, perché segna il primo tentativo concordato, e di successo, di una diversa divisione degli oneri in ambito Nato tra le due sponde dell’Atlantico. Nella crisi libica è emerso con nettezza come, anche in termini di aree strategiche di competenza e d’interesse prioritario, l’Europa tenda nel suo complesso a privilegiare il Maghreb, mentre gli Usa concentrino i loro sforzi sul Levante e sul Golfo Persico.A tutti sta a cuore mantenere sicuri gli approvvigionamenti di gas e petrolio, ma per l’Unione Europea esiste una questione migratoria che l’America non deve affrontare. Washington è ben più impegnata nel sostegno alla difesa di Israele. Peraltro, la redistribuzione degli oneri e degli onori in ambito Nato ha messo impietosente in luce tutte le fragilità degli assetti militari del Vecchio Continente, che a fatica sono riusciti a portare a termine una campagna dall’impegno tutto sommato leggero e dai tempi contenuti.
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