I grafici amari del male la forza dell'altro Sud
venerdì 11 agosto 2017

Brutto segno quando, dopo un grave fatto di sangue, accanto alla cronaca, compaiono anche i “grafici”. Elencano consorterie e famiglie del crimine, suddividono con esattezza territori di influenza, portano alla ribalta centri minuscoli e sconosciuti che, altrimenti, se non per un marchio d’origine tutto sangue e affari, non comparirebbero neppure nella cartina geografica. Indicano, quel che è peggio, che quelle pallottole avranno un seguito. L’area del Mezzogiorno d’Italia è storicamente devastata da questi cartelli indicatori che sono come aghi velenosi conficcati nelle sue vene. Il triangolo storico mafia-camorra-n’drangheta è ormai più famoso di quello isoscele, ma non racchiude tutte le forme e le sigle criminali che sciaguratamente operano sul terreno. La strage di San Marco in Lamis, con l’uccisione di quattro persone, tra cui due fratelli freddati come semplici testimoni, ha riacceso mercoledì scorso i riflettori su una delle varianti più truci, la mafia del Foggiano, che il capo della Procuratore Antimafia, Roberti, ha definito la «quarta piovra», pur tenendo conto della vicinanza territoriale con la “sacra corona unita”, sigla di più antico e criminale riferimento dell’area pugliese.

Anche lo scenario del delitto di San Marco in Lamis, nella grande e assolata campagna del Gargano, evoca l’ombra di una malavita padrona e onnipresente in un territorio martoriato da 17 omicidi solo dall’inizio dell’anno e infestato da clan a cui si attribuiscono un migliaio di affiliati. Vista e raccontata dai grafici, la storia del Mezzogiorno d’Italia è una storia di ritardi e di fallimenti. Una storia di frustrazioni, una dopo l’altra, a cominciare proprio dalla lotta alla malavita che, non a caso, ha potuto mettervi radici ben salde.

Di fronte a un crimine efferato come quello del Gargano si può essere perciò indotti a pensare a uno sciagurato ma lineare corso delle cose: il Sud e la violenza sono legati da una parentela troppo stretta perché sia possibile dividere le strade. È a questo punto, come un meccanismo collaudato, che le cifre, e i grafici – anche in questo campo – vengono usati come sentenze di condanna. Il Sud inchiodato alle croci della statistica è un classico, ma ora finalmente anche uno stereotipo almeno vago. Non che i numeri vadano messi da parte. Ma ciò che non si può più ignorare, è che la schiera di chi non si rassegna alla violenza come naturale corso delle cose, è diventata sempre più vasta. Ha preso coraggio. Si è accorta che, come il silenzio, anche il fatalismo era d’ostacolo, alla speranza e così si è messa di traverso finanche alle statistiche per dire, e gridare, che il Sud è un orizzonte molto più vasto dei suoi drammi, delle sue tragedie, perfino dei suoi ritardi e delle sue incongruenze.

Quel che i grafici non possono testimoniare è che questa rinascita non è stata portata dal vento, ma costruita con dedizione e costanza, attraverso sacrifici e sconfitte. Non è solo un fatto di nuove generazioni, per quanto siano naturalmente esse a capo di ogni svolta: la speranza ha preso piede in un ambiente educativo vasto che ha fatto “rete” di per sé, incrociando l’impegno delle chiese locali, la loro pastoralità – sostenuta come non mai dalla Chiesa nazionale e dal pontificato di Francesco – con le attività di un volontariato più attento ai valori di un territorio chiamato a sfide sempre più esigenti.

Non è difficile vedere come anche lo Stato, il grande assente di una “questione meridionale” largamente messa da parte, si sia trovato in qualche modo “tirato” dentro a una realtà che, pur in silenzio e senza enfasi, sta prendendo la forma di un progetto. E tanto più valido perché non studiato a tavolino. Mentre la cronaca del giorno riporta all’orrore del Gargano, occorre anche non dimenticare che la storia, da queste parti, segnala altro: la più grande opera di salvataggio di vite umane nell’uno e nell’altro dei tanti porti delle città meridionali. Bel segno che dopo atti di ribellione – al malaffare, ai soprusi, alle intimidazioni come all’“Avvenire di Calabria”, e a tutto ciò che cerca di mettere tra parentesi la legalità – comincino ad apparire i grafici che danno conto dell’estensione e della capillarità delle associazioni e degli organismi di solidarietà operanti nel Mezzogiorno. Indica, quel che conta, che il bene ha futuro.

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