giovedì 5 novembre 2015
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I casi sono due: o l’Europa è troppo debole per contrastare le furbizie di certe multinazionali oppure non ha nessuna intenzione di farlo. Altrimenti non si capisce perché, come spiega un dettagliato report pubblicato ieri da Oxfam Italia, a un anno preciso dallo scoppio dello scandalo LuxLeaks non sia cambiato quasi nulla: i colossi industriali e finanziari continuano ad avere a disposizione numerosi escamotage per pagare meno tasse approfittando della tradizionale “comprensione” fiscale di qualche Stato membro dell’Unione Europea. Sappiamo ormai da decenni che certe nazioni sorelle – ad esempio il Lussemburgo, i Paesi Bassi, il Regno Unito e l’Irlanda – offrono alle grandi aziende la possibilità di creare complesse architetture societarie utili soltanto a risparmiare sulle tasse dovute ad altri Paesi dell’Unione. Da un anno conosciamo anche i dettagli di alcuni di questi sistemi; e questo grazie alla pubblicazione, il 5 novembre 2014, dei risultati del lavoro dei giornalisti del consorzio internazionale Icij, che imbeccati da un infedele contabile di PriceWaterhouseCoopers hanno mostrato i 548 accordi fiscali firmati tra il 2002 e il 2010 con cui il Granducato del Lussemburgo ha permesso risparmi fiscali ad oltre 300 multinazionali. Insomma: non abbiamo bisogno di molte altre prove per capire che in Europa ci sono aziende e Stati che stanno facendo “i furbi” abusando delle regole del mercato unico europeo. Eppure l’indignazione generata dallo scandalo LuxLeaks non ha impedito a Jean-Claude Juncker, che era il primo ministro del Lussemburgo quando quegli accordi di tax ruling venivano firmati, di restare alla guida della Commissione europea (grazie, anche, al decisivo sostegno di Angela Merkel). Juncker è un avvocato e sa difendersi: gli accordi con le aziende erano del tutto legali, ha sempre ribadito. Ed è vero, o almeno è vero solo in parte. Perché, come ha stabilito due settimane fa Margrete Vestager, commissario europeo alla Concorrenza, nel sanzionare l’accordo fiscale tra il Lussemburgo e la Fiat Chrysler Finance Europe e quello tra i Paesi Bassi e Starbucks, quando uno Stato sigla un’intesa fiscale con una singola azienda sta impedendo una sana competizione tra imprese. Ecco la soluzione individuata a Bruxelles contro queste pratiche di elusione fiscale: trattarle come violazioni della concorrenza. La tattica che appare un po’ debole. Il fatto che le due aziende se la siano cavata con l’obbigo di restituire ognuna 30 milioni di euro agli Stati coinvolti lo conferma. Un po’ debole, aggiunge l’Oxfam, è anche l’intesa politica trovata un mese fa tra i ministri delle Finanze europei al vertice dell’Ecofin, che prevede l’avvio, nel 2017, di un regime di scambio automatico di informazioni sugli accordi fiscali a livello nazionale che abbiano implicazioni per gli altri Stati membri. Quell’intesa assegna alla Commissione un ruolo di supervisione limitato e lascia fuori dal regime di scambio automatico di informazioni molte tipologie di accordo fiscale. Il sospetto è che i ministri abbiano trovato un compromesso utile solamente a dare l’idea che qualcosa stia cambiando. Nell’Europa ossessionata dal “rigore”, per questi ladri di tasse non c’è vera sanzione. La questione merita invece di essere affrontata veramente. A chi legge con un po’ di attenzione le cronache finanziarie non sarà sfuggito che nel documento con cui si è quotata a Wall Street nemmeno un mese fa la Ferrari si è presentata col nome di New Business Netherlands NV.L'Europa dovrebbe spiegare in base a quale principio permette che sia più vantaggioso controllare un’azienda italiana attraverso una holding basata nei Paesi Bassi piuttosto che gestirla, semplicemente, dal-l’Italia. E dovrebbe spiegare che senso ha lasciare che esista una competizione fiscale così assurda, in cui alcuni Stati ospitano aziende fittizie, senza fabbriche né personale, nate solo per sottrarre entrate fiscali agli altri membri dell’Unione. Ma è ovvio, lo sapevamo anche prima di LuxLeaks, che il navigato presidente Juncker è la persona meno adatta a rispondere a queste domande. Così come è evidente che a Bruxelles questo problema non interessa poi tanto. Ma a milioni di cittadini – tutti quelli che riescono a capire come vanno le cose – interessa. Interessa, eccome. 
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