Una manovra “blindata”: ma così si bypassa il bicameralismo
venerdì 27 dicembre 2024

Somiglia a quelle società sportive nobili decadute questa legge di Bilancio 2025 che stamani avvia in Senato l’ultimo tratto accelerato e che, in nemmeno 36 ore, dovrebbe arrivare all’ok finale. Da “legge-regina” dell’anno politico – che un tempo per tre mesi, da ottobre, monopolizzava di fatto il Parlamento – si sta trasformando sempre più in un rito stanco, animato da sporadici sussulti.

«La manovra arriva blindata in Parlamento, non siamo più una repubblica parlamentare». Sapete chi diceva queste parole il 18 novembre 2021? Il giochino è quasi scontato: era Giorgia Meloni, all’epoca battagliera leader dell’opposizione. Cambiano i protagonisti, cambiano i colori politici, ma il risultato resta identico.

In questo 2024 per il sesto anno di fila – e il terzo da quando c’è il governo Meloni – questo ddl viene approvato con un monocameralismo alternato: stavolta è toccato alla Camera, mentre l’altro ramo del Parlamento non batte palla. Anzi, l’esame effettivo si riduce addirittura a una sola commissione, la Bilancio, perché l’aula di Montecitorio si è limitata a mettere un timbro (col voto di fiducia) senza incidere minimamente.

È un esautoramento della massima funzione legislativa, uno stravolgimento dello spirito della Costituzione che si trascina ormai da troppo tempo e che meriterebbe qualche attenzione in più dai tanti difensori del rispetto della nostra Carta fondamentale. Certo, le modifiche parlamentari quasi tutte di maggioranza (in una sola commissione, ripetiamo) non sono mancate, anzi sono state anche numerose – pare circa 300 in tutto –, tuttavia è in ogni caso inutile continuare a definirci un sistema bicamerale se poi di questo istituto viene fatta carta straccia. Indignandoci per di più se qualcuno prova a parlare di riforma monocamerale.

Il fenomeno è più vasto: sono 171 le leggi ordinarie approvate dal Parlamento dall’inizio di questa legislatura e in ben 68 casi (le conversioni di decreti-legge) ci sono state zero modifiche da parte della seconda Camera che se ne è occupata. Lo si spiega sempre con i tempi ristretti (i 60 giorni, quando si discute di decreti-legge), ma si tratta di una giustificazione relativa. L’abbiamo visto in particolare per questa manovra, che per quasi due mesi ha “ristagnato” senza novità nei cassetti di Montecitorio, per poi ridursi alla solita corsa forsennata degli ultimi giorni.

E vien facile pensare che, passati 10 mesi d’indifferenza, fra un anno accadrà lo stesso. È diventato un vero metodo di lavoro (o una tattica), adottato anche per ridurre i confronti con quelle opposizioni che dovrebbero far valere istanze socio-economiche che possono essere state trascurate dalla maggioranza. Quasi un commissariamento del Parlamento. È innegabile che la riflessione da fare sia anche più ampia, finendo col coinvolgere lo stesso strumento, ben diverso ora rispetto al 1978, quando fu istituita la legge finanziaria in un’epoca di soli impegni nazionali.

Oggi, viceversa, prevalgono vincoli internazionali che sono sempre più veri condizionamenti (e questa manovra s’inquadra poi nella nuova governance europea in vigore da maggio scorso), come dimostrato platealmente dal centrodestra che vi ha innestato contenuti assai diversi dai roboanti annunci elettorali. I tagli fiscali sono stati rinviati a tempi migliori, al di là della conferma di quelli meritoriamente avviati gli ultimi anni. Per non dire delle pensioni, dove Salvini continua a far proclami su uno stop alla riforma Fornero del 2011 che è sempre rimandato all’anno successivo. Alla fine, con due terzi dei fondi stanziati per confermare misure già in vigore, resta la prudenza il tratto maggiore di questa legge, che difatti ha incassato il gradimento di organismi internazionali. Non è poco di questi tempi, dopo la sbornia collettiva degli anni pandemici in cui tutto sembrava potersi regalare a suon di bonus.

Date le premesse, aveva poco senso attendersi molto di più da questo ddl, che pur dovrebbe cercare di alimentare una crescita tornata asfittica. Che va sostenuta senza troppo ricorrere al partito della “spesa facile”: per questo le nuove regole Ue hanno posto come architrave il controllo pluriennale della crescita della spesa netta. Un nuovo tassello posto dalla responsabilità europea. Quanto a quella nazionale, pensare a un iter diverso per una legge di Bilancio, altrimenti tramutata in una sagra dei voti di fiducia, sarebbe un ulteriore passo da intraprendere, anche per un più efficace rispetto dei ruoli nelle istituzioni. Una riforma concreta che, volendo, potrebbe trovare tutti d’accordo, pur di evitare questo triste spettacolo.

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