martedì 26 agosto 2014
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Il governo francese si è dimesso e il premier uscente Manuel Valls ha ricevuto l’incarico del presidente François Hollande, anch’egli socialista, di formarne uno nuovo. Nel sistema semipresidenziale francese un rimpasto di governo o anche una sostituzione del primo ministro è abbastanza usuale, specialmente quando la maggioranza parlamentare appartiene al partito del presidente della Repubblica. In questo caso, però, la crisi appare pilotata solo dal punto di vista dei meccanismi costituzionali, ma dal punto di vista politico rivela problemi assai complessi. Dopo le disastrose elezioni municipali di cinque mesi fa, che provocarono il licenziamento del premier precedente e la nomina di Valls, e le europee, che hanno visto in Francia la vittoria del Front National antieuropeista e un crollo al terzo posto del Psf, la popolarità del presidente Hollande ha raggiunto i livelli più bassi della storia della V repubblica (l’80 per cento dei francesi non ha fiducia nelle sue scelte per far uscire la Francia dalla crisi, secondo l’ultima inchiesta dell’Ifop), ma la nomina di Valls a primo ministro, che era stata pensata anche per recuperare consenso grazie al gradimento piuttosto alto dell’ex ministro dell’Interno, non ha avuto l’effetto sperato. Oltre alle difficoltà oggettive della situazione economica, che registra una stagnazione della crescita e l’aumento della disoccupazione, Valls ha dovuto fronteggiare un attacco frontale alla sua politica portato dalla sinistra del Partito socialista e in particolare da Arnaud Montebourg, ministro dell’Economia. Già l’affidamento a Montebourg del ministero chiave, dopo che nella gestione della sua funzione precedente aveva provocato dissapori con Hollande, era una dimostrazione di debolezza del presidente che cercava così una sorta di 'copertura a sinistra' che è definitivamente saltata quando il ministro, nel fine settimana, ha rilasciato a Le Monde  un’intervista in cui denunciava come antipopolare la politica del governo di cui è membro autorevolissimo, sostenendo che si danno troppi aiuti alle imprese e pochi alle famiglie modeste. I più maliziosi ricordano che la ruggine tra Montebourg e Hollande è di lunga data, e citano la sua dichiarazione del 2007, quando era portavoce di Ségolène Royal, candidata socialista all’Eliseo poi sconfitta e allora moglie di Hollande, secondo cui l’unico difetto della candidata era suo marito. Naturalmente, non si può ridurre alla dimensione delle inimicizie personali una contrapposizione politica che riguarda, in sostanza, l’atteggiamento della Francia in Europa, che Hollande tenta di tenere in equilibrio tra la tradizionale alleanza egemonica con la Germania rigorista e le aperture al primato della crescita rivendicato da diversi altri Paesi (Italia inclusa) e dallo stesso Partito socialista europeo. Al mantenimento di questa posizione sostanzialmente ambigua Hollande ha collegato il nuovo incarico a Valls, che dovrà essere gestito «in coerenza con gli orientamenti economici» che sono stati già definiti, come recita il comunicato ufficiale.  In realtà la pressione per abbandonare la linea dell’austerità imposta da Angela Merkel sembra incontenibile: oltre a Montebourg si sono espressi in questo senso anche la titolare del ministero della Cultura, Aurélie Filippetti, e quello dell’Istruzione, Benoît Hamon. La critica ha assunto toni ultimativi, il che porterà con ogni probabilità all’esclusione dal nuovo esecutivo dei ministri considerati indisciplinati. Come spesso accade in questi casi, però, il nuovo esecutivo dovrà dare risposte alle esigenze poste da chi ne verrà escluso, anche perché la condizione politica di Hollande, che deve cambiare governo per la seconda volta in meno di un anno e che vede crescere il malumore tra i parlamentari socialisti risulta assai fragile. Questa condizione dovrebbe portare Hollande, come chiede esplicitamente la sinistra del Psf, a cercare un accordo con Matteo Renzi, considerato ormai il portavoce principale della linea che punta al superamento dell’austerità ossessivamente rivendicata dalla Germania. Ma è un fatto che la debolezza oggettiva della presidenza francese riduce come forse mai prima anche l’influenza effettiva di Parigi sulle vicende continentali.
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