E voi, sapete sperare ancora? Ecco le domande dei giovani del Giubileo

Il milione di ragazzi riunito a Roma chiede al resto del mondo: e voi? Voi sapete sperare ancora? Vi ricordate cos’è la speranza?
August 2, 2025
E voi, sapete sperare ancora? Ecco le domande dei giovani del Giubileo
Lì dove la notte si mescola al giorno, quando il buio tentenna e si fa insicuro davanti all’avanzare delle prime luci dell’alba, c’è un momento, in ogni Giornata mondiale della gioventù o in eventi simili (come può essere questo Giubileo dei giovani), nel quale i sogni di centinaia di migliaia di ragazzi si uniscono e s’impastano con le emozioni vissute nei giorni precedenti. È in questo attimo silenzioso e fuggente ma carico di attesa, che i ragazzi si mostrano al mondo intero come “sentinelle del mattino”, per riprendere la definizione data da Giovanni Paolo II proprio a Tor Vergata alla Gmg del 2000.
Chi l’ha provato lo sa, perché porta dentro quell’emozione e oggi sarà così ancora una volta sulla spianata di Tor Vergata: il risveglio della domenica mattina, in mezzo a una distesa di sacchi a pelo adagiati uno accanto all’altro a perdita d’occhio per ettari ed ettari, tocca le corde più profonde dell’anima. Quei ragazzi che, prima pochi alla volta, poi uno dopo l’altro a decine, centinaia, migliaia, si risvegliano, si alzano, si stiracchiano raccogliendo le proprie cose per prepararsi all’ultima impegnativa giornata del loro pellegrinaggio, sono l’immagine di un popolo che vigila sul futuro e sprona il “mondo dei grandi” a non deludere le speranze nascenti al principio di ogni nuovo giorno. Questo momento di risveglio – un gesto che solitamente ognuno dei giovani pellegrini vive nell’intimità della propria camera, lontano dalle intemperie del mondo – offre una piccola ma significativa lezione di vita.
Quando ci si alza in mezzo a tutti gli altri sul prato, ci si trova nel proprio (ristretto) spazio personale, tutto l’essenziale di ciò che si possiede è a portata di mano, ma alzando lo sguardo ci si rende conto che questo piccolo ritaglio di terra confina e si confonde con quello di tutti gli altri ragazzi. È lì che si fa esperienza di una fratellanza profonda e si affrontano tutti i disagi di quella situazione come un momento di grazia, come una situazione in cui si capisce che la fede, l’incontro con Dio, è l’unica cosa essenziale che conta. Perché è ciò che unisce tutte quelle persone su quell’enorme spazio condiviso.
Questo istante, in realtà, condensa in sé tutto quello che i giovani hanno vissuto in questi giorni a Roma e che li ha resi testimoni, portavoce, ambasciatori, profeti e sentinelle. A Roma i canti dei pellegrini sui marciapiedi, nelle piazze, agli incontri collettivi, nelle catechesi, hanno attirato l’attenzione su di loro, suscitando una domanda: ma cos’hanno di diverso questi ragazzi rispetto ai loro coetanei? La risposta è semplice: nulla. Forse, si potrebbe dire, riprendendo il commento di un anonimo romano davanti allo sfilare dei rumorosi gruppi dei giovani pellegrini del Giubileo a un incrocio in centro: “di questi qui, si vede che hanno la faccia pulita, non fanno nulla di male”.
Dietro a quelle “facce pulite”, però, c’è tutto un mondo, fatto di fragilità, di ferite, di insicurezze, di sete di futuro, di ricerca di senso, lo stesso mondo che si portano dentro tutti i loro coetanei. Ma il loro stare assieme, con la semplicità dei giovani che non badano a bandiere, colori della pelle, vestiti o lingue diverse, è la dimostrazione che è possibile dare una forma concreta alla speranza.
Se loro sperano – e in questo Giubileo lo hanno detto in tutti i modi e con tutti i linguaggi che conoscono, che la loro speranza è viva – che diritto hanno gli adulti di vivere nel timore, nell’odio, nella paura dell’altro? Raccontandosi, in questi giorni, non nascondendo le loro fragilità (che sono tante e forse sono ancora più profonde di quelle dei loro genitori, che si erano trovati a Tor Vergata 25 anni fa) ma anche i loro sogni hanno dimostrato di non voler rinunciare alla speranza.
Hanno toccato con mano e sperimentato quella speranza che prende forma già solo nel parlarne. Stamattina, alzandosi dai loro sacchi a pelo, uno alla volta e tutti insieme, stanno chiedendo al resto del mondo: e voi? Voi sapete sperare ancora? Vi ricordate cos’è la speranza? Come avete trasformato l’invito che avete ricevuto da Giovanni Paolo II 25 anni fa a essere “sentinelle del mattino”?
Durante la notte di Tor Vergata del 2000 il Papa chiese a tutti i giovani di allora di promettere che non si sarebbero prestati «ad essere strumenti di violenza e distruzione» e a «difendere la pace, pagando anche di persona se necessario». Oggi le nuove “sentinelle”, i giovani che assieme a Leone XIV gridano la loro richiesta di pace, chiedono conto di quella promessa e domandano che venga loro mostrato concretamente come la fede, come il convenire assieme attorno alla luce del Risorto, possa trasformare la vita, incidere nelle scelte di tutti i giorni, far ardere i cuori. E costruire la pace.

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